La banlieue parigina a confronto con la borgata romana: situazioni incredibilmente diverse con caratteristiche proprie e ben distinte (a differenza di quanto è stato sostenuto da recenti dichiarazioni politiche decisamente fuori luogo) accomunate, però, da una forte necessità di riqualificazione urbanistica. Per rendere proficuo questo parallelo è necessario non considerare alcuni tratti fondamentali della crisi francese, come il problema dell'intercultura o quello della terza generazione di immigrati, per porre l'attenzione su una espressione triste ma di reiterato utilizzo, soprattutto in queste ultime settimane, adatta ad entrambe le situazioni: "cittadini di seconda classe". Abitare un grigio quartiere dormitorio ed essere privati di ogni possibilità di scelta renderebbe invivibile l'esistenza di qualunque individuo, tanto a Parigi quanto a Roma.
La programmazione urbanistica francese aveva già mostrato le sue debolezze e la sua tendenza alla ghettizzazione fin dagli anni settanta, anni in cui venivano creati i mostruosi alloggi HLM ad alta densità, ma neanche i successivi tentativi di riqualificazione hanno mai portato all'integrazione auspicata. Dislocare aree economiche nelle sterminate periferie non ha fatto altro che acuire la distanza tra gli abitanti delle banlieue e i lavoratori pendolari che, terminate le otto ore canoniche, fuggono da queste zone invivibili. Come può gioire la popolazione di Saint-Denis della costruzione di un enorme stadio dagli altissimi costi di gestione (lo Stade-de-France) se non possiede neanche una piazza o un giardino per far giocare i bambini?
Siamo evidentemente di fronte a problematiche determinate da una errata valutazione urbanistica ma la pianificazione non è certamente l'unica causa di tale disagio: per rendere un luogo qualitativamente vivibile non basta una piazza o un giardino, bisogna anche dare la possibilità ai cittadini di queste periferie di potersi sentire elementi attivi della realtà territoriale di cui fanno parte. Tramite una attenta riqualificazione basata su interventi volti ad un miglioramento culturale delle aree disagiate si può giungere ad una svolta importante; è necessario proporre soprattutto alla popolazione giovanile una serie di possibilità intriganti che possano stimolare le loro menti e la loro capacità propositiva; porsi realmente di fronte a tale sfida vorrebbe dire allontanare definitivamente le borgate nostrane dai pericoli della "ghettizzazione" parigina.
L'amministrazione capitolina sembra aver sposato questa linea di rinnovamento culturale delle periferie e, nell'ambito del progetto Urban, inaugurerà il prossimo 9 dicembre il Nuovo Teatro di Tor Bella Monaca. La nuova struttura, sorta all'interno del complesso del Municipio delle Torri, è stata realizzata dall'assessorato alle Politiche per le periferie e lo sviluppo e dal Dipartimento XIV del Comune di Roma e diventerà un punto di riferimento per attori singoli o compagnie che vorranno mettere alla prova il proprio talento.
Il teatro, che sorge all'interno di un edificio progettato per essere in grado di ospitare, nei paraggi, anche nuove attività commerciali (dalle quali arriveranno anche nuove opportunità di lavoro) ha una sala da 300 posti, una da 100 e un anfiteatro all'aperto che può arrivare ad ospitare fino a 600 persone. La direzione artistica è stata affidata a Michele Placido che, oltre ad accettare entusiasticamente la proposta, ha anche raccolto un buon numero di artisti, da Giovanni Veronesi a Paola Cortellesi, che proporranno gratuitamente i loro spettacoli al pubblico della periferia romana.