Dopo la Slovenia di Class Enemy, la friulana Tucker Film guarda ancora al vicino Est e porterà (prossimamente) nei cinema Sole alto, il capolavoro del regista croato Dalibor Matanić. Premiato a Cannes, dalla giuria della sezione Un certain regard, e candidato al Premio LUX del Parlamento europeo, il film verrà presentato in anteprima italiana all'Internazionale di Ferrara (sabato 3 ottobre).
Sole alto racconta l'amore fra un giovane croato e una giovane serba. Un amore che Matanic moltiplica per tre volte nell'arco di tre decenni consecutivi: stessi attori (i bravissimi Tihana Lazović e Goran Marković) ma coppie diverse, dentro il cuore avvelenato di due villaggi balcanici.
Il 1991 e l'ombra incombente della guerra.
Il 2001 e le cicatrici che devastano l'anima.
Il 2011 e la possibile ma impervia rinascita.
Uno straordinario inno alla vita che ha trafitto la critica internazionale. Una sorprendente riflessione sulla natura umana che racconta il dolore per raccontare la speranza. Una produzione che, in perfetta sintonia con il respiro del film, vede cooperare la Croazia, la Slovenia e la Serbia, restituendo pienamente il percorso di ricostruzione culturale in atto nell'ex Jugoslavia.
«Il detonatore di Sole alto - ricorda Matanić - è una frase che ripeteva puntualmente mia nonna, ogni volta che le parlavo dei miei flirt o delle mie relazioni sentimentali: '...fino a quando non è una di loro...'. Per lei, cioè, andava tutto bene, a patto che evitassi le ragazze serbe. Un punto di vista che mi ha sempre disorientato, considerando l'affetto che la nonna era capace di darmi e la bontà che, in generale, era capace di esprimere. Sono un testimone diretto dell'intolleranza sociale, politica, religiosa radicata nella mia terra e sono anche un testimone diretto dei suoi effetti devastanti. Della miseria e del dolore che ha provocato per anni. Con Sole alto ho voluto vedere se fosse possibile collocare l'amore sopra ogni cosa, in un contesto del genere, e ho tradotto in riflessione cinematografica quella frase così agghiacciante. Così agghiacciante e, purtroppo, così vicina a me».
Sviluppando la narrazione lungo lo spazio di tre diversi decenni, Matanić utilizza gli stessi villaggi come orizzonti emotivi, prima ancora che geografici, e gli stessi attori come simbolo di ciclicità. I due ragazzi, invece, no: i due ragazzi non possono essere gli stessi, perché i loro vent'anni sono cristallizzati dentro una giovinezza, innocente e fragile, che ci parla (anzi: che ci deve parlare) di ieri, di oggi e, soprattutto, di domani...
Dalibor Matanić è nato a Zagabria nel 1975 e, sempre a Zagabria, si è diplomato in regia all'Accademia d'Arte Drammatica. Nel 2000 ha scritto e diretto il suo primo lungometraggio, The Cashier Wants to go to the Seaside, cui sono seguiti, fra gli altri, Fine Dead Girls (2002), 100 Minutes of Glory (2005), Kino Lika (2008), Mother of Asphalt (2010) e il recente Handymen (2013). Uno dei suoi maggiori successi è il corto Party, presentato a Cannes nel 2009 e vincitore di 18 premi in vari festival nazionali e internazionali.
articolo pubblicato il: 03/10/2015