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taccuino di viaggio
Guadalupe: il vulcano "la Soufriere"
di Sergio Gigliati E Claudio Tarricone

Il piccolo jet usci dalla formazione di stratocumuli che la luce del tramonto irradiava di un color cremisi innaturale. Dal finestrino le isole Les Saintes, un piccolo arcipelago a sud della Guadalupa ci delizia la vista con le sue acque azzurre e turchesi che si scontrano e confondono tra loro mentre sorvoliamo la barriera che protegge la laguna. Poi una piccola virata e d'improvviso la sorprendente forma di farfalla che caratterizza l'isola della Guadalupe si avvicina ai nostri occhi. L'isola e' formata da due territori, Grande Terre e Basse Terre, il primo dei quali risulta essere prevalentemente pianeggiante e collinoso, coltivato con piantagioni di canna da zucchero. Basse Terre, al contrario, e' formato da colline e montagne nelle quali, all'interno della lussureggiante foresta pluviale si trova una delle più alte cascate dei carabi orientali che precipita dalla costa del monte La Soufriere. Quest'ultimo, della considerevole altezza di quasi 1.500 metri e' un vulcano attivo, la cui ultima fase eruttiva (durata ben otto mesi dal luglio 1976 al marzo 1977) fu particolarmente violenta, preceduta da un anno di attivita' sismica crescente.

Gran parte del territorio di Basse Terre e' protetto e fa parte di un vasto parco nazionale (300 kmq) dove e' facile incontrare il procione lavatore, simbolo ufficiale del parco. All'interno dell'isola la fitta vegetazione composta da alberi della gomma, castagni, felci lussureggianti, bouganville, eliconie in fiore tra le quali e' possibile intravedere numerose specie aviarie quali colibrì, aironi e pellicani, ci rammenta che siamo in un ambiente tropicale pluviale.

L'aeroplano dell'Air Canada descrisse un largo cerchio passando sopra il canale marino naturale ricoperto di mangrovie, chiamato Riviere Salee, che congiunge i due territori di Grande Terre e Basse Terre. Il rumore di ingranaggi che indica l'uscita del carrello ci distoglie da quel divagare geografico della mente e la vista dei flap che si abbassano ci porta ad osservare la meta del nostro viaggio che fa capolino tra la vegetazione. I tetti rossi di Pointe-a-Pitre, si avvicinano velocemente mentre i nostri occhi catturano gli ultimi raggi del sole al crepuscolo.

All'aeroporto Pole Caraibes l'aria e' irrespirabile; benché la temperatura non sia molto elevata, il tasso di umidità (circa del 90%) ci fa respirare a fatica. Raggiungiamo uno dei numerosi taxi (molto costosi) e ci dirigiamo verso il nostro albergo. Nel tratto di strada che percorriamo, la mancanza di illuminazione fa somigliare i tetti di lamiera ondulata delle povere capanne presenti sul limitare della foresta a piccole stelle che riluccicano al chiarore della luna.

Anse-a'-la-Gourde, fantastica distesa di spiagge bianche coralline fa da cornice alle acque meravigliose che ci incantano con i loro colori. Ed e' proprio "isola dalle acque meravigliose" (Karukera) che i nativi indiani caribi chiamavano l'isola all'epoca della sua scoperta nel 1493 quando Cristoforo Colombo l'avvisto' per la prima volta. La popolazione dell'isola e' il risultato di secoli di fusione tra elementi creoli e francesi che colonizzarono l'area già nel 1635 costruendo il primo stabilimento per la lavorazione dello zucchero. L'incontro con Maurice e la sua famiglia creola fu un colpo di fortuna. Il feeling si istaurò fin dal primo momento, merito della cordialità e gentilezza nonché dell'immancabile risata che faceva costantemente capolino tra le sue labbra: la tenerezza e gentilezza dei due piccoli figli, Simone e Marie, che sgambettando tra le nostre cose ci deliziavano di ampi sorrisi fece il resto. Maurice si offri' di farci da guida attraverso una delle piste più lunghe ed impegnative del Parc Naturel de Guadalupe per raggiungere la sommità del complesso vulcanico Grand-Decouvert Soufriere, passando per le cascate delle Chutes du Carnet (107m).

Passiamo la giornata riposandoci sulla sabbia dorata di Grande Anse, a Basse Terre, poco a nord di Deshaies. Nel tardo pomeriggio Maurice ci invita ad accompagnarlo a raccogliere dei granchi azzurri lungo la spiaggia, spiegandoci che proprio al tramonto quest'ultimi risalgono a centinaia lungo la battigia. I crabes farci - granchi terrestri farciti e speziati, sono una prelibatezza dell'isola e Maurice si fa carico di organizzare una cena in nostro onore a tarda sera nella sua casa.

Accettiamo entusiasti con la promessa di contraccambiare successivamente.

Per l'occasione, Gabrielle, la moglie di Maurice, ha indossato il tradizionale abito creolo con la camicia bianca merlettata, una lunga gonna in cotone dai colori sgargianti arancione e giallo ed il copricapo con scialle abbinato.

Mentre Gabrielle parla con il figlio Simone la particolare lingua locale, il patois creolo, Maurice si diletta nella cucina dalla quale giungono gradevolissimi odori a noi sconosciuti. La cena e' al di sopra di qualsiasi aspettativa: oltre ai crabes farci, ci vengono servite delle Accras (frittelle ripiene di merluzzo) e del Blaff ( brodo speziato con pesce), il tutto innaffiato da un ottimo rum caraibico agricolo, distillato da un suo cugino.

Un sottofondo reggae e beguine accompagna la nostra cena.

L'indomani partenza di buon ora. Arriviamo con i nostri zaini, dopo circa 40 minuti di auto, all'imbocco di un sentiero che si snoda all'interno della foresta primordiale.

La natura si manifesta in tutto il suo splendore facendoci dono di profumi della vegetazione bagnata dopo la pioggia che durante l'alba ha caratterizzato parte dell'isola. C'e' un aroma persistente nell'aria di grandi fiori tropicali ed altri profumi sconosciuti al nostro olfatto che ci terrà compagnia per tutta l'escursione. Il sentiero si modifica mentre ci addentriamo nella foresta pluviale. Maurice ci racconta di quando bambino veniva lungo queste piste con il padre a caccia di mongoz, una sorta di piccolo lemuro introdotto in passato nell'isola per contrastare il numero dei ratti nelle piantagioni di canna da zucchero, ed a fine giornata si fermava a fare un tuffo presso uno dei tanti laghetti naturali che si formano tra le rocce. Ed e' proprio verso una di queste pozze che decidiamo di fare una sosta per riposarci un po'. L'acqua e' più che invitante: uno sguardo tra noi, senza alcuna parola ed in men che non si dica ci tuffiamo tra le acque del laghetto piacevolmente riscaldate dall'attività vulcanica sotterranea. Un'altra mezz'ora di cammino e arriviamo alla base delle Chutes du Carnet, le più alte cascate dei carabi orientali (107 metri). La vista d'insieme e' stupenda: arriviamo alla prima delle tre cascate che formano il complesso e ci godiamo un attimo di riposo prima di ripartire per le altre due che, benché vicine, necessitano di circa mezz'ora di sentiero. Il clima qui è veramente micidiale: se la temperatura non è elevatissima (26-27°), l'umidità raggiunge quasi il 100% e c'è il rischio di star male! Guardiamo dal basso alcuni turisti che si agitano, salutandoci, sul belvedere posto in cima alle cascate. E' un attimo: Maurice si inoltra nuovamente nella foresta e ci conduce verso un altro sentiero in direzione del complesso vulcanico Grand-Decouverte Soufriere. La strada si inerpica lungo il costone della montagna e diviene sempre più impegnativa: da non sottovalutare. Passiamo attraverso la foresta vergine e ci sentiamo un po' come Indiana Jones nei suoi film avventurosi. Palme e felci si susseguono lussureggianti mentre il canto di uccelli e rumori a volte inquietanti stimolano le nostre percezioni uditive, distogliendo i nostri arti dalla fatica della salita. Ancora un po' ed arriviamo al massimo consentitoci dal sentiero: per proseguire non basta più il machete che Maurice maneggia come una appendice naturale del proprio corpo ma servirebbero dei bulldozer. Non siamo riusciti ad arrivare alla sommità del cratere, ma anche da qui la vista e' strepitosa: il massiccio vulcanico e' indescrivibile. Sono ancora visibili i prodotti ed i flussi eruttati 30 anni or sono, anche se l'eruzione dell'epoca da freatica non divenne mai magmatica. Il colore della vegetazione contrasta in modo surreale con il turchese del mare che in lontananza fa da demarcazione visiva tra mare, cielo e terra. Sono immagini che resteranno sempre impresse nella nostra memoria e che qualsiasi foto non potrà mai riprodurre. E' tardi e la strada del ritorno e' lunga. La Soufriere scompare alle nostre spalle lasciandoci un vuoto visivo incolmabile. A sera ci ritroviamo con Maurice a festeggiare la giornata davanti ad un buon Rum della Martinique nella veranda della sua casa, mentre Simone e Marie schiamazzano nel giardino antistante. Marie sgattaiola verso di noi e si ferma aggrappandosi alle nostre ginocchia, fissandoci con un sorriso e con gli occhi profondi che ci ricordano i colori dell'isola. E mentre il ritmo di un Beguine si perde in lontananza, lascio lo sguardo fisso nel vuoto e ritorno a fissare con la mente l'esperienza indimenticabile e forse irripetibile trascorsa.

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