Ci sono avvenimenti che, al di là del loro significato immediato, assumono valore di simbolo. Uno di questi è, a parer mio, la decisione del Comune di Parigi di dedicare l'emblematica piazza situata davanti alla cattedrale di Notre Dame a Papa Giovanni Paolo II. Da questo mese di settembre questo spazio cittadino cessa di chiamarsi "Parvis Notre-Dame" per essere denominato "Place Jean-Paul II". Non sarà l'unico luogo di Francia destinato ad onorare il defunto Papa, ma sicuramente il più significativo.
Quando si parla di Chiesa e di relazioni Chiesa-Stato, la Francia si erge, nell'immaginario collettivo, come paradigma della laicità. La legge del 1905 di separazione tra Chiesa e Stato, per non citare altri fatti storici precedenti, è considerata, ancora oggi un punto di riferimento, un segno di identità. La Chiesa in Francia ha dovuto vivere e deve vivere in questo clima sociale e culturale, apportando il suo ineludibile contributo alla convivenza sociale e nazionale.
Il rapporto di Giovanni Paolo II con la Francia esemplifica, in un certo senso, il vincolo esistente tra questo paese e la Chiesa cattolica. È stato detto che la Francia è la "figlia primogenita della Chiesa" e nessun cattolico può dimenticare la legione di santi, di educatori, di teologi e intellettuali che, anche in epoca contemporanea, la nazione francese ha apportato al cattolicesimo. Giovanni Paolo II doveva molto ad un santo come San Luigi Maria Grignion de Monfort, dal quale riprese anche il suo motto "Totus tuus"; o a San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d'Ars, che il Papa polacco evoca in "Dono e Mistero: "Nello scenario della laicizzazione e dell'anticlericalismo del secolo XIX, la sua testimonianza costituisce un evento veramente rivoluzionario". Francese era anche Santa Teresina di Lisieux, dichiarata da Giovanni Paolo II dottore della Chiesa il 19 ottobre del 1997.
Il Papa fece un totale di otto viaggi in Francia. Sulla nostra retina e in quella dei francesi resterà senza dubbio impressa per sempre l'immagine dell'anziano Pontefice a Parigi, circondato dai giovani del mondo, nel caldo agosto del 1997> ma, se ci rimettiamo ai documenti, forse vale la pena di citare la lettera di Giovanni Paolo II all'Arcivescovo di Bordeaux sulla laicità in Francia, che è come un testamento del Santo padre diretto a questa nazione.
Senza rammarico e senza complessi, il Papa sottolineava l'importanza di un consenso che, rispettando le legittime competenze di ognuno, permettesse alla Chiesa, in particolare ai laici, di prendere parte attiva alla vita cittadina: "In ragione della vostra missione, siete chiamati ad intervenire regolarmente nel dibattito pubblico sulle grandi questioni della società. Allo stesso modo, in nome della propria fede, i cristiani, personalmente o attraverso l'associazionismo, devono poter prendere pubblicamente la parola per esprimere le proprie opinioni e manifestare le proprie convinzioni, apportando così il proprio contributo al dibattito democratico, interpellando lo Stato ed i propri concittadini sulle responsabilità di uomini e donne, specialmente nel campo dei diritti fondamentali della persona umana e del rispetto della sua dignità, del progresso dell'umanità -che non può essere ricercato a qualsiasi prezzo - della giustizia e dell'equità, così come della conservazione del pianeta,
settori che impegnano il futuro dell'uomo e dell'umanità, e la responsabilità di ogni generazione. A questa condizione, la laicità, lungi dall'essere luogo di contrapposizione, è veramente spazio per un dialogo costruttivo, con lo spirito dei valori di libertà, uguaglianza e fraternità nei quali il popolo di Francia, a piena ragione, è fortemente radicato".
Magari imparassimo la lezione, nel rispetto dei nostri propri segni di identità. La laicità non deve essere "luogo di contrapposizione" ma "spazio per un dialogo costruttivo" La Place Jean-Paul II ricorderà a tutti la possibilità e l'urgenza di questo dialogo.