"L'attività artistica ha per me un valore ineguagliabile. Non potrei vivere in un modo diverso da quello che il destino mi ha assegnato. Fare scultura per me significa respirare". Sono parole di Gino Bogoni (Verona 1921 – 1880), che dopo quarant'anni torna a Roma con una prima antologica nazionale a sedici anni dalla sua scomparsa. La mostra, curata da Francesco Butturini (quale suo biografo e studioso, autore di due monografie, Gino Bogoni edita nel 2001 e Gino Bogoni, dipingendo sulle ali delle farfalle, edita nel 2003 presso le Edizioni d'arte Ghelfi di Verona) e dalla nuora dell'artista, Patrizia Arduini Bogoni, allestita a cura del Banco Popolare di Verona nelle sale di Palazzo Altieri in piazza del Gesù a Roma, presenta un panorama della sua produzione come scultore e come grafico, dalle primissime opere (Vecchia Sofia, 1947; Gallina, 1952; Giancarlo, 1952) alle celebri donne degli anni '70, alle sculture che lo hanno reso celebre a livello internazionale quali Lotus, Heliantus,
Mutazioni, Metamorfosi, Quadrato vitale.
Allievo presso l'accademia veronese G.B. Cignaroli dello scultore Franco Egidio Girelli, iniziò la sua ricerca studiando e riproducendo i bronzi delle formelle della porta del San Zeno di Verona e delle immagini arcaiche della Lessinia. La conoscenza diretta delle opere di Arturo Martini, Luciano Minguzzi, Giacomo Manzù e soprattutto di Marcello Mascherini, con cui collaborò a lungo in prestigiose commissioni, lo avviò progressivamente in una ricerca autonoma che lo impose a livello nazionale con due importanti presenze alla Quadriennale romana del 1965 e alla Biennale veneziana del 1966. Una spinta ulteriore al rinnovamento della scultura gli venne dal viaggio negli Stati Uniti nel 1968 e dal confronto sempre più libero e vivace con le esperienze più significative italiane ed europee, presenti in Italia nelle ricerche plastiche e spaziali di Consagra e Arnaldo Pomodoro cui la produzione degli anni '60-70 di Bogoni è sensibilmente vicina. Come ha scritto Giorgio Cortenova,
"questo artista rappresenta più di ogni altro la scultura veronese e, nello stesso tempo, coniuga la sua inesauribile radice scaligera in modo tale da evadere e comunque da inserirla nei grandi sviluppi internazionali della scultura contemporanea".
Di questa ricerca plastica dalle profonde motivazioni esistenziali, Bogoni dà una ricca e fruttuosa testimonianza con i bronzi fusi nell'ultima parte della sua vita: la serie numerosa delle donne dei Lotus, delle Mutazioni e degli Helianthus. Vicino a questa sezione fondamentale della sua produzione, vengono esposte venticinque pitture: esplosioni cromatiche o delicatissimi calchi per impressione di foglie, di sassi, di rami in una ragnatela essenziale che sarebbe tanto piaciuta a un Bissier.
Nella sequenza storica della sua ricerca, ben rappresentata dalla mostra romana, è necessario citare alcune opere fondamentali, divenute famose grazie anche ad una sostanziosa e prestigiosa serie di premiazioni e riconoscimenti: da Bovino (1961) con cui vinse il premio alla Biennale di Verona, a Le grandi ruote e Forme di vita (1965) nate dall'osservazione di oggetti e forme della quotidianità, come ci rivela lui stesso nel suo "Diario d'artista" e con le quali ha partecipato alla IX quadriennale di Roma. Senza dimenticare la serie delle Vacchette (1959 - '60) e il Lotus (1972-73), con il quale nel 1973 ha vinto il 1° Premio al 9° Concorso Internazionale del Bronzetto di Padova, sorta di inflorescenza plastica dalla forma primordiale le cui lamelle bronzee se suonate e percosse emettono vibrazioni profonde e intense. Come pure Fluenza del 1967 con la quale ha vinto a Parigi alla Rassegna Internazionale d'Arte Contemporanea la Coppa della Critica Francese - Unesco.
Riguardo alle oltre cento Donne create dall'artista veronese Butturini: «Le Donne di Bogoni, sono generazione dell'inconscio, rivelazione dell'inconscio con un procedimento consequenziale, eppure frutto di un dominio perfetto della materia che non deriva da una precisa volontà creativa, ma dall'ansia di stare a vedere cosa viene fuori..». Che sia bronzo o carta, muoversi tra le opere di Gino Bogoni è passeggiare in un bosco che giunge fino al mare. Perché è materia che respira, si agita come fosse al vento e sogna il suo colore. E ancora citando Butturini "in ogni fusione di Bogoni, nelle sue eruzioni lunari o nelle modulazioni plastiche che sembrano modellarsi nella luce e nell'aria con il gesto sottilmente erotico di una prorompente femminilità, avverti l'apparire, anzi, l'affiorare di un battito universale, che supera ogni barriera, per divenire ed essere."
Sulla sua vita rende conto il volume "Diario d'artista", presentato in occasione della mostra. Ultimo di sei fratelli, Bogoni nasce a Verona il 7 luglio 1921. Un'infanzia infelice, dovuta alla morte della madre, un'adolescenza difficile, ma precocemente aperta all'arte, quando nel 1934 incontra Girelli, direttore dell'Accademia Cignaroli, divenendo così a soli tredici anni, l'allievo e l'assistente del maestro. Per lui lavora a opere sempre più importanti fino al conseguimento del diploma in Scultura conseguito nel 1939. Continuò a frequentare l'Accademia fino al giugno del 1941, quando fu chiamato sotto le armi e spedito in Russia, dove fra avventure incredibili, rimase fino alla primavera del 1943, ritornando in Italia, a piedi, da solo. Il 22 aprile 1944 sposa Lina che aveva conosciuto in un brevissimo incontro prima di partire per la Campagna di Russia. Dalla loro unione nasceranno Giancarlo e Franco.
Dal 1947 insegna per sette anni disegno ornamentale e scultura alla "Scuola d'Arte Applicata all'Industria" di San Michele Extra di Verona. Nel 1971 insegna scultura all'International Sommerakademie Fur Bildende Kunst di Salisburgo (Austria). Tiene poi corsi di Scultura in Belgio presso le Accademie di Liegi, Bruxelles, Anversa, Verviers e Hasselt. Nonostante nella sua vita abbia dovuto combattere per ben venticinque anni con un male terribile, ha sempre continuato la sua attività superando il dolore con la forza di volontà e traendo da esso nuove energie; soleva dire: "Non può esserci riposo per un artista, mai, fino alla fine". E così è stato, perchè nel 1990, anno della sua scomparsa, poco prima di entrare in clinica per l'ennesimo e purtoppo ultimo intervento, Bogoni, caparbiamente, ha portato a compimento la sua grande opera Frutto oggetto scultura, che ora, per donazione fattane dagli eredi, è esposta permanentemente nel centro storico di Verona, in Piazzetta S.Nicolò.
Consapevole dei forti pericoli dell'intervento da affrontare, lo scultore confessò in un suo scritto: "Questa potrebbe essere la mia ultima opera, non posso rischiare che rimanga allo stadio di idea e nemmeno di bozzetto. Devo assolutamente realizzarla prima, a qualsiasi costo. Ed eccola qui, compiuta".