Se sul tormentato Medio Oriente tornerà la pace, Giordania e Israele potranno cooperare nella creazione di un'opera di ingegneria gigantesca, destinata a cambiare radicalmente, e in tutti i sensi, il volto di questa infuocata area del pianeta e, non ultimo, a modificare in senso ancora più positivo i rapporti tra lo stato ebraico, la Giordania e la comunità palestinese. Stiamo parlando del mega-progetto relativo al canale Mar Rosso-Mar Morto, i cui lavori di realizzazione avrebbero dovuto incominciare addirittura all'inizio del 2004, ma che il perdurare delle drammatiche vicende legate al conflitto israeliano-palestinese e alla congenita fragilità politica interna dello stesso governo palestinese hanno fatto slittare a tempo indefinito. Secondo un'intesa preliminare siglata il lontano 2 agosto 2002 a Johannesburg dai ministri dell'Ambiente israeliano Tzahi Hanegbi e giordano Bassam Abdullah, e dai ministri della Cooperazione Regionale Roni Milo e Hassam Nassar, la grande opera potrebbe essere avviata,
impedendo al Mar Morto, bacino in fase di drammatico e costante calo, di prosciugarsi e di determinare un disastro ambientale di proporzioni gigantesche. In questi ultimi dodici anni, il livello di questo mare chiuso ad alta densità salinica (che rappresenta anche il punto più basso delle terre emerse) è sceso di ben 19 metri sotto il livello del mare. Secondo i tecnici israeliani e giordani, la costruzione del canale (in realtà si tratta di una grossa condotta) consentirebbe di immettere nel Mar Morto circa 1,8 miliardi di metri cubi d'acqua proveniente dal Mar Rosso (dalla zona di Eilat/Aqaba). Più dettagliatamente, la grande e lunga condotta di cemento e acciaio si snoderebbe per una lunghezza di 180 chilometri prevalentemente in territorio giordano, e per una parte anche in quello israeliano. L'opera comporterebbe un investimento iniziale di un miliardo di dollari, coperto dalla Banca Mondiale. Ma altri 3-4 miliardi si renderebbero necessari per la costruzione di appositi impianti per la
desalinizzazione dell'acqua marina in grado di produrre 850 milioni di metri cubi d'acqua dolce l'anno. Due terzi di questa quantità andrebbero alla Giordania, il resto a Israele e alle aree controllate dall'autorità palestinese. Da studi compiuti tra il 1995 e il 1997, i tecnici prevedono che potranno essere dolcificati circa 830 milioni di metri cubi di acqua, di cui 580 milioni spettanti alla Giordania e la restante parte suddivisa tra israeliani e palestinesi. Oltre a ciò è prevista la costruzione di una centrale idroelettrica (atta a sfruttare il dislivello esistente) che dovrebbe avere una portata di circa 550 megawatt: energia da distribuire in parti simili all'acqua dolcificata ai partner impegnati nel progetto.
Gli scienziati e i geologi israeliani e giordani hanno più volte sottolineato che preservare il fragile ecosistema del Mar Morto - e in pratica impedire a questo bacino di scomparire - significherebbe non soltanto risolvere, almeno in buona parte, il problema dell'approvvigionamento idrico della regione, ma anche salvaguardare un'importante risorsa economica naturale. Attualmente, le coste del Mar Morto vengono sfruttate da Tel Aviv e da Amman per lo scavo e la raccolta dei minerali di potassio, di cui questa zona è particolarmente ricca. Il progressivo prosciugamento del Mar Morto (le cui acque, oggi come oggi, non potrebbero essere utilizzate così come si presentano a causa della fortissima concentrazione di sali) è dovuto principalmente all'inaridimento del suo unico affluente, cioè il fiume Giordano. I geologi hanno calcolato che per questa ragione il livello del bacino "lacustre" scende ogni anno di ben 8 centimetri. Nel 1955, il Mar Morto si trovava a 395 metri sotto il livello del mare,
ma oggi è arrivato a 414 metri, con una conseguente e forte diminuzione della sua superficie., scesa da 1000 chilometri quadrati a 770. Secondo alcuni esperti giordani, la diminuzione delle immissioni del fiume sarebbero da imputare a Israele che, negli anni Sessanta, più a monte rispetto all'estuario ha deviato il corso del fiume per alimentare la rete idrica nazionale. In questo modo la già scarsa portata d'acqua (nella regione che comprende la Giordania e la parte centro meridionale di Israele le precipitazioni annue non superano i 250 millimetri l'anno) si sarebbe ridotta ulteriormente, passando da 1600 milioni di metri cubi l'anno a circa la metà. Ma si tratta di un'accusa che viene respinta con decisione dagli israeliani che, al contrario, sostengono che l'abbassamento delle acque del Mar Morto sia semplicemente dovuto alla rarefazione delle piogge e all'estrazione del potassio, che come si è detto viene praticata sia da Israele che dalla Giordania, le cui fabbriche, situate lungo le rive,
sottraggono al bacino da 290 a 300 milioni di metri cubi di acqua ogni anno.
Nel novembre 1999 il Centro per la Pace e la Cooperazione Economica in Medio Oriente aveva reso pubblico un indicativo libro bianco intitolato "Come risolvere il problema della scarsità di acqua dolce in Israele, Giordania, Gaza e Cisgiordania". Lo studio prospettava un articolato piano di dissalazione delle acque marine e salmastre che lo stesso Centro poi circolarizzò sui principali quotidiani israeliani e arabi prima del vertice per la pace del 2000. Secondo questo rapporto, la disponibilità di acqua dolce nel Giordano avrebbe raggiunto il minimo assoluto atto a garantire il quantitativo pro capite indispensabile per la sopravvivenza degli abitanti della regione. I redattori del documento prevedono, quasi all'unanimità, che nel 2010 nell'area israelo-palestinese e giordana verrà a mancare il 20% dell'acqua dolce, cioè quando l'attuale popolazione di 13 milioni sarà passata a non più di 20 milioni di individui: cifra considerata peraltro abbastanza ottimistica.
A fare accelerare i piani per la realizzazione del grande canale, superando i problemi derivanti dalle violente incomprensioni israeliano-palestinesi, potrebbero risultare le allarmate previsioni dei geologi israeliani (ma anche occidentali) che imputano all'inaridimento del grande bacino del Mar Morto altre non meno gravi conseguenze, come ad esempio il prosciugamento dei numerosi pozzi artesiani che garantiscono l'approvvigionamento idrico di buona parte di Israele e dei cosiddetti "territori occupati". A partire da quest'anno, a sud del mar Morto e nella zona ad ovest del Giordano, circa 150 pozzi artesiani hanno già visto il loro livello scendere pericolosamente, proprio in concomitanza della diminuzione del livello del Mar Morto.
Ma come si è detto, la realizzazione del progetto rischia di naufragare a causa dell'attuale situazione di conflittualità che sta sconvolgendo la regione: conflitto che - lo ricordiamo - deriva anche dalla inadeguata e equa distribuzione delle attuali risorse idriche tra israeliani e palestinesi. Senza considerare che, nonostante l'intesa siglata lo scorso anno a Johannesburg, il governo giordano sembrerebbe intenzionato a pretendere l'avvio della costruzione dell'opera ad Aqaba, cioè sotto la sua giurisdizione, e non ad Eilat. Cosa che agli israeliani pare non gradiscano affatto. Per la cronaca, va detto che nella prima metà degli anni Ottanta furono proprio gli israeliani i primi ad affrontare il problema dell'inaridimento del Mar Morto progettando un canale esclusivamente nazionale (più breve) che dalla costa mediterranea avrebbe portato acqua salata (ma desalinizzabile tramite centrali) nel bacino lacustre interno. Anche se, in seguito, il governo di Tel Aviv ha modificato i suoi piani,
ripiegando su una soluzione (quella Mar Rosso-Mar Morto) considerata senz'altro più fattibile, anche in vista di un finanziamento internazionale. Inutile negare che un'opera ad escluso uso e consumo di Israele ben difficilmente riuscirebbe ad ottenere i finanziamenti stranieri di cui necessita.