Il crollo dell'ex Unione Sovietica, "la disintegrazione dell'Urss e' stato per noi come se il sole non sorgesse più, per la rivoluzione cubana un colpo distruttivo". Lo scrive il "líder máximo" Fidel Castro in un editoriale pubblicato su "Juventud rebelde". Fin qui la notizia di agenzia (Adnkronos). Una notizia di qualche giorno precedente affermava che Castro si era presentato alle elezioni. Chissà se è stato eletto.
La notizia in sé non avrebbe bisogno di commenti, si commenta da sola. Ciò che appare un po' patetico è che per diffondere certe verità il Comandante abbia scelto "Juventud rebelde", invece del più importante "Granma". Chiamare ribelle un giornale giovanile a Cuba ricorda quel Partito Rivoluzionario Istituzionale che ha governato per un'ottantina d'anni il Messico. I giovani sono, sempre e dovunque, naturalmente ribelli; si nasce incendiari e si muore pompieri. Ma a Cuba la gioventù può essere ribelle solo in una testata di giornale. È impensabile che un giovane cubano possa ribellarsi al castrismo o solo scrivere su "Juventud rebelde" un editoriale che non sia in linea con le direttive del regime, magari elogiando il capitalismo o gli stili di vita dei vicini statunitensi.
Agli albori del Sessantotto dichiararsi castristi era molto trendy, lo facevano i giovani pariolini e montenapoleonidi che trovavano volgare iscriversi alla FGCI. Il tragico della nostra Italia è che qualcuno crede ancora che l'esperienza cubana sia qualcosa di diverso, di ancora esaltante o quantomeno voglia farlo credere agli altri. Persiste il mito del Comandante Che Guevara, l'icona del quale è da qualcuno associata a quella di Gesù Cristo; ma l'unica vera differenza con Fidel Castro è che Guevara fu assassinato e gli eroi muoiono giovani, mentre il líder máximo è pieno d'acciacchi. Per il resto erano molto simili; uno ha avuto la fortuna di restare in patria a gestire la sua rivoluzione istituzionale, l'altro andò a sfidare il pericolo, e ciò gli fa indubbiamente onore, ma chi conosce l'America Latina non tramite gli articoli di qualche inviato comunista o perché ci si reca in vacanza, sa benissimo che i metodi di lotta del Che non erano esattamente evangelici.
Ancora un paio d'anni fa, su di un importante giornale italiano, un articolista affermava convinto che la Cuba di Batista era il bordello degli USA e che aver posto fine a quella situazione era comunque un gran merito della rivoluzione. Giustissimo; la comunista Cuba non è più il bordello degli statunitensi, lo è degli europei, con gli italiani in prima linea. Nessuna simpatia può esserci da parte nostra per Fulgencio Batista, tipico dittatore da repubblica delle banane, senz'altra ideologia che quella di farsi gli affari propri e dei suoi amici. Ma uno Stato dittatoriale, sia pur "rivoluzionario " e "ribelle", non è forse il posto migliore in cui vivere.
Ormai molti cubani, parlando del Comandante, sussurrano "coma andante", soprannome ingeneroso verso una persona anziana, ma che rende l'idea di come, al di là delle manifestazioni di piazza in cui non si sa chi ci vada spontaneamente e chi sia invece precettato, Fidel Castro sia un sopravvissuto e la rivoluzione cubana istituzionalizzata un accanimento terapeutico. La rivoluzione dei "barbudos" ebbe il merito di mandar via Batista. Per il resto non ci sembra che abbia fatto cose mirabili.