Così come dopo Manzoni si ebbe un'intera generazione di manzoniani, intenti a volgarizzare la poetica e lo stile di Don Lisander, "Né io son peranche un manzoniano che tiri quattro paghe per l'allesso", scriveva Carducci, così a deteriorare la lezione di D'Annunzio ci fu una serie di scrittori definibili dannunziani.
Il più importante, se non altro perchè il più venduto, con tirature invidiate anche dal maestro, fu Guido Verona, nativo della provincia modenese, che volle dannunzianamente nobilitare il suo cognome ebraico firmandosi Guido da Verona, anche se in alcune copertine appare come Guido Da Verona.
Del maestro apprese la lezione peggiore, quella di atteggiarsi a dandy decadente, tra l'altro con un ventennio di ritardo, quando il Decadentismo come corrente culturale era ormai sepolto e il decadente Ariel si era rinnovato in eroe di guerra e si era già trasmutato nel Vate.
Guido da Verona scriveva best-seller come "Sciogli la treccia Maria Maddalena" e "Mimì Bluette fiore del mio giardino", libri amati da umili fanti della Grande Guerra e modiste di provincia. "Lettera d'amore alle sartine d'Italia" sarà il titolo di un libro che voleva essere una risposta ai critici letterari, decisamente e giustamente ostili.
Indubbiamente, nonostante gli sforzi, e comunque non aveva gran voglia di sforzarsi, Guido da Verona era ben lontano dallo scrivere romanzi come "Il piacere", che resta un grande romanzo, anche se il capolavoro di D'Annunzio è stato escluso da una recente raccolta dei romanzi che hanno fatto il nostro Novecento letterario con la scusa che uscì nel 1889, nonostante di ottocentesco non abbia assolutamente nulla. Ma sul Vate continua a pesare l'ostracismo di certa critica schierata che stranamente non trova nulla da eccepire sul fascista Pirandello.
Nonostante la modestia della sua poetica, Guido da Verona era comunque convinto di essere qualcuno o quantomeno si atteggiava. Diversi scrittori e giornalisti hanno lasciato testimonianza del suo incedere serale in Galleria, a Milano. Valga per tutti la descrizione che ne fece lo scrittore e giornalista Carlo Linati: "Bello veramente ed elegante e fascinoso oltre ogni dire, G. avanzava a passi trionfali sulla strada della galanteria e delle conquiste femminili, portatore disinvolto di costosissime cravatte, di giacche alla moda confezionate a Parigi, di colletti di finissimo lino, bello di una vecchia nobiltà provinciale inurbata: avanzava con le sue ghette candide, le sue scarpe di coppale con lo scrocchio, col suo viso superbioso e ampiocrinito, il suo passo elastico di amoroso, con la sua voce un po' baritonale di affascinatore di semivergini".
Il tramonto iniziò per lui nel 1929, quando, in piena Conciliazione, ebbe la bella idea di pubblicare una parodia dei Promessi Sposi, per di più per l'epoca politicamente scorretta, non tanto per certe scabrosità quanto per una critica nemmeno tanto velata all'atmosfera di "tutto va per il meglio" istituita dal fascismo e propagata sulla stampa. Una pila del suo libro fu bruciata da una banda di giovani in Galleria e l'autore, che stava passeggiando con l'editore Dell'Oglio, fu pesantemente malmenato.
Gli ultimi dieci anni della sua vita furono un continuo declino. Guido morì suicida nel 1939, si dice perché terrorizzato dalle leggi razziali. Altre fonti parlano però di una morte per tumore.