Le Leges sumptuariae tentarono a più riprese di ricondurre alla temperanza e alla semplicità delle origini i Romani. Le prime disposizioni restrittive erano contenute nella Lex Numae e nelle XII Tavole ed erano destinate espressamente a ridurre lo sfarzo delle cerimonie funebri. Fu in realtà la Lex Oppia del 215 a.C. la prima vera legge che vietava il lusso sfrenato delle matrone romane, che "scesero addirittura in piazza per chiederne l'abrogazione", come narra Tito Livio nella sua Ab Urbe Condita, XXXIV, 1. Altre leggi quali la Lex Orchia, 183 a.C.circa, la Lex Fannia, 161 a.C., la Lex Didia, 143 a.C., la Lex Licinia, 100 a.C., ed in ultimo la Lex Cornelia dell'81 a.C. proibivano la ricchezza delle mense per i banchetti nuziali e feste simili, stabilendo anche regole precise. Anche Cesare emanò la Lex Julia che limitava il lusso del convivio e lo sfarzo delle vesti e l'uso di oggetti inutili di lusso. Augusto poi promulgò la seconda Lex Julia mirante a ricondurre i cittadini all'antica semplicità e morigeratezza di vita. Tutte queste leggi non sortirono l'effetto sperato, tant'è che nonostante le disposizioni imperiali, ricordate da Tacito nei suoi Annales, non diminuirono la ricerca e le esagerazioni del lusso.
Questo esempio dato dalla civiltà romana dimostra che la sfera privata e quella pubblica di un individuo costituiscono sin dalla sua nascita l' elemento identificativo del suo sé. Solo in seguito si differenziano e originano atteggiamenti e comportamenti adeguati e afferenti alle due sfere. E l'importanza riconosciuta all'una o all'altra determina, di conseguenza, scelte di vita, a loro volta più o meno condizionate dal contesto sociale, economico e culturale del momento. Ciò che emerge inconfutabilmente, però, è la scoperta immediata che tanto più emerge la sfera pubblica tanto più la stessa ricorre ad abbellimenti, ad interventi per favorire la comunicazione con l'esterno. Del tutto naturalmente si sviluppa, infatti, contemporaneamente la preoccupazione dell'accettazione di sé da parte dell'altro, avvertito di volta in volta amico o nemico, ma pur sempre altro da sé. Questa considerazione non riguarda necessariamente personalità scarsamente sicure di sé o dotate di scarsa autostima, ma, probabilmente, l'istinto di sopravvivenza di ognuno. Tale istinto non spinge solo alla soddisfazione dei bisogni primari, ma anche alla ricerca del consorzio con gli altri. Da qui forse nasce la celebrazione dell'incontro con l'altro secondo i riti del mascheramento, del travestimento, della mistificazione attraverso non solo abiti che riparino o che esaltino il corpo, ma abiti che proteggano l'io.
Ai giorni nostri, si impone la cultura dell'apparire a tutti i costi.