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arte e mostre
il pittore di Orvieto

Valentini ricordato con una monografia nella sua città

di Michele De Luca

A buon diritto Livio Orazio Valentini (San Venanzo, Terni,1920 – Orvieto 2008) può essere considerato il pittore di Orvieto perché nessuno meglio di lui ha saputo cogliere della città del duomo l’essenza ed il carattere e, con ammirevole coraggio, proporre iniziative culturali di assoluto prestigio, come le due edizioni del premio di pittura “Città di Orvieto”; inoltre, nella sua città sono ben visibili alcuni dei suoi lavori come il monumento “Orvieto città unita” realizzato nel 2003 o il monumento ai caduti in piazza Cahen; entrando nella hall dell’hotel Duomo ad Orvieto si può subito ammirare una sua preziosa raccolta di sue pitture e sculture. Due anni fa alla memoria del grande artista che seppe conquistare una fama internazionale, venne anche dedicata la piazza di fronte a palazzo Monaldeschi, per lunghi anni sede dell’Istituto d’arte. Con Orvieto – hanno detto le figlie del grande e poliedrico artista, Cristiana, Silvia e Francesca – Valentini “ha avuto un rapporto complesso, a volte difficile, ma sempre passionale. Proprio come in una relazione sentimentale, è stato un continuo alternarsi di felicità e sofferenza, di accoglienza ed esclusione, di partecipazione ed estraneità”.

Arduo davvero, ripercorrere in poche righe la sua lunga, variegata e intensa vicenda umana e artistica. Appena ventenne e per cinque lunghi anni conobbe la dura esperienza della guerra e della prigionia nel campo di concentramento tedesco di Buchenwald, esperienza che lo segnò in maniera indelebile alimentando dalla metà degli anni Quaranta, la sua espressività artistica. Tornò in Italia, avvicinandosi alla pittura e alla scultura. Esordì in una collettiva a Perugia, dove conobbe il pittore futurista Gerardo Dottori; nei primi anni ’60 aprì uno studio ad Orvieto ed iniziò a dedicarsi anche alla ceramica. Nel 1967 si trasferì a Roma per un anno, lavorando in un atelier di via Monti della Farina; nel 1968 tornò ad Orvieto, dove nel 1970 fu tra i fondatori, insieme alla moglie Flora, dell’Istituto d’arte e negli anni successivi compì alcuni viaggi in Portogallo, in Germania, in Nigeria e a più riprese, negli Stati Uniti.

Inizialmente pittore figurativo, subisce l’attrazione dell’Informale che rielabora con stilemi personali ed originali, dando vita a quello che alcuni critici hanno definito “Informale orvietano”. Sempre negli anni ‘60 sono da ricordare le esperienze di scultore e ceramista e la costante produzione di arte sacra. Sensibilissimo ai valori civili e sociali, nelle sue opere trasfonde sollecitudini culturali che si manifestano in opere di grande intensità, tra cui il grande dipinto “L’Eccidio di Camorena”, nel quale – scrive, con perfetta “lettura”, Alessandro Bosi – “l’ambientazione della fucilazione è una tavola di colori sulla quale sono rovesciate sette persone cadute l’una sull’altra. L’elemento figurativo dei corpi esce a stento dal contrasto con un brano di pittura informale nel quale, con scelta cubista, è coinvolto il fucilatore senza concessioni grammaticali alla prospettiva. Confuse e affastellate sulla tavola di colori, le vittime conservano il volto fiero di chi sa distogliere lo sguardo dal nemico negandogli il perfido piacere di vedervi la disperazione della paura”.

Dal 1968 al 1970 nascono opere di sapore naturalistico: pitture e sculture in terracotta, disegni e opere grafiche seriali. A partire dal 1970 l’arte di Valentini prende a tema il violento rapporto violento tra uomo e natura, da cui nasce il “Ciclo degli Uccelli”, dove la pittura è ancora velatamente informale e carica di grandi espressioni drammaturgiche. Legato ai temi dell’umanità, traeva profonda ispirazione dalla natura, dalle ere geologiche, dalle piante e dagli animali. Non tralasciò nemmeno il lato oscuro dell’essere, conosciuto in prima persona durante la guerra, ed anzi condannandolo senza timore con la sua arte. Molte altre sono le opere in tributo della propria terra, molti i cicli pittorici ad essa dedicati, primo fra tutti quello del Signorelli, e fu in suo onore che venne istituito il gemellaggio con la città statunitense di Aiken e la sua prestigiosa Università.

Per il centenario della sua nascita l’Associazione che porta il suo nome aveva da tempo previsto una serie di iniziative artistiche ed editoriali. A causa del Covid il calendario delle manifestazioni ha dovuto subire variazioni, di quelle espositive in particolare, che si svolgeranno nel corso dell’anno, negli spazi più significativi di Orvieto. A questo punto, l’Associazione e gli altri soggetti pubblici e privati che fanno parte del Comitato promotore, hanno voluto dare maggiore rilievo all’aspetto editoriale delle celebrazioni. In questo senso, il previsto catalogo a corredo delle mostre, è diventata una significativa e importante monografia sull’artista: “Livio Orazio Valentini100. Opere 1945-2004: figurativo-informale-post-quaternario” ; uno splendido e poderoso volume firmato da Massimo Duranti e Andrea Baffoni, con i contributi critici anche di Alessandro Bosi, Alessandra Cannistrà Jeremy N. Culler, Antonio Carlo Ponti e Enrico Sciamanna, oltre a ampi apparati biobibliografici.

Come scrive tra l’altro Massimo Duranti, “Considerato il ventaglio così ampio dell’espressività di Valentini, è stato difficile sottoporre la sua vasta produzione a una sistematizzazione … questa doverosa monografia, che tenta di ricostruire il suo ventaglio di genialità, necessita di confrontarsi, come si suol dire, dal vivo, nella fattispecie con le opere sotto gli occhi, da vicino e senza mascherine, magari, perché immuni da virus come dalle impurità che denunciano. Avevamo preparato un ampio insieme espositivo articolato per temi e stagioni, anche con contaminazioni significative con reperti etruschi e testimonianze pittoriche e scultoree del passato, ma tant’è! L’appuntamento è soltanto rinviato al post-coronavirus”. Bella la testimonianza di Carlo Antonio Ponti: “Sì, il pittore e artista del quale celebriamo – no, questa parola gli avrebbe dato uggia -, del quale ricordiamo il secolo (operoso) dalla nascita, è stato un esempio ammirevole di onestà intellettuale e creativa; e lui nato povero cui la sorte avrebbe destinato un probo mestiere di falegname, con garbata nonchalance afferma, divinamente convinto, come la povertà dell’artigiano sia migliore della ricchezza vuota di valori. In questo sta la grandezza del mio amico indimenticato Livio Orazio Valentini, gloria dell’Umbria”.

articolo pubblicato il: 12/03/2021 ultima modifica: 15/03/2021

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