Spoleto, come diceva il titolo di un celebre film di disavventure marine, è al centro di una “tempesta perfetta”. Questa si verifica quando più elementi avversi si concentrano contemporaneamente in un punto, sommando le loro forze in un perverso vortice, contro cui chi vi si trova non ha apparente difesa e difficilissimamente avrà la ventura di uscirne.
Esposta – come ogni altro territorio – agli effetti di una smobilitazione economica e produttiva epocale, ne reca però una sofferenza “proporzionalmente” anche maggiore: è stata (non tutti ne sono al corrente) il secondo centro industriale della regione, dopo Terni, ed ha perduto non centinaia, ma MIGLIAIA di posti di lavoro, che le straordinarie risorse monumentali e paesaggistiche, con una indubbia attrattività d’arte, di turismo e di indotto, sono valse a compensare solo in parte assai ridotta.
L’arretramento demografico (siamo oggi sotto i 40.000 abitanti, in uno dei Comuni italiani più estesi per territorio) è stato tra i principali motivi che hanno indotto i partiti politici e il ceto politico regionale a marginalizzare progressivamente il comprensorio, creando le condizioni perché quasi nessuno spoletino potesse crescere in esponenzialità più che locale e accedere a significativi ruoli di governo e incisiva rappresentanza, né nazionale, né (tantomeno) regionale. Questo “vuoto” di nullirappresentanza, cui si accompagna l’assoluta indisponibilità ad una concreta (e teoricamente doverosa) azione di tutela da parte di parlamentari e consiglieri regionali, è in questo momento (e da un bel pezzo) totale.
NOTA DEL REDATTORE: Chiamo del tutto fuori me stesso da questo ragionamento. Io sono stato eletto e rieletto in Regione per nove anni, come consigliere di orgogliosa e solitaria opposizione; e poi deputato e senatore della Repubblica, per diciannove anni, ora in maggioranza ora in minoranza, ma mai in ruoli di governo. Ho vissuto queste missioni in modo che non sta a me giudicare, ma che sono state contraddistinte da una viscerale attenzione per TUTTE le mie città, grandi e piccole, dell’Umbria, che ho amato (e amo) quanto la mia stessa famiglia. Quel che ho particolarmente ottenuto – io trevano di origine e cuore, spoletino di cultura e radicamento – per questo specifico territorio, è agli atti e se ne potranno occupare i cronisti. Le modeste posizioni ricoperte, però, sono state in ogni caso raggiunte non con diatribe locali, ma passando per la guida provinciale, regionale e, settorialmente, nazionale di una importante forza politica, di cui ho potuto attivare e valorizzare le facoltà. Questo mi abilita, non con senso di superiorità, ma se mai di mortificazione, a parlare di odierna condizione di irrappresentanza.
Orbene, in siffatte condizioni piomba la funesta epidemia di “Coronavirus”, che si sviluppa e continua a correre nella maniera devastante che tutti sappiamo e soffriamo. L’Umbria, che era stata tra le più “graziate” nella primavera 2020 per essere meno interessata da grandi flussi e interrelazioni, si fa trovare ampiamente impreparata nelle “ondate” successive, tanto da presentare, in modo alternante, più indici di allarme tra i peggiori d’Italia ed esigere – di fronte ad una balbettante strategia del governo nazionale – provvedimenti d’emergenza da parte della Regione, prima competente in materia. Esplode, nell’ottobre 2020, lo sconcertante “caso Spoleto”.
Con misura non spiegabile, se non attribuendola ad uno stato confusionale con perdita di freni regolatori, la decisione più eclatante dell’Esecutivo regionale in carica da un anno, con l’ordinanza n.67 del 22 ottobre della Presidente Donatella Tesei, è di disattivare in modo praticamente totale i reparti e servizi dell’Ospedale di Spoleto (polo del DEA, Dipartimento Emergenza-Accettazione), riconvertendolo “temporaneamente” in struttura tutta dedicata Covid 19.
Il provvedimento non ha alcuna plausibilità tecnica e organizzativa; e contraddice platealmente le motivazioni tecnico-amministrative con cui, nella primavera 2020, altre ordinanze della stessa Presidente hanno individuato diversi Ospedali come idonei ad ospitare reparti Covid, escludendo del tutto quello di Spoleto. Rischia all’evidenza di privare un’area molto vasta, riferibile a circa 70.000 abitanti, dei diritti costituzionalmente garantiti alla salute secondo i Livelli Essenziali di Assistenza; e, per giunta, sopprime il riferimento ospedaliero di emergenza-urgenza 24h di tutto il territorio a massima criticità sismica, dalla Valle Spoletina, all’Alta e Bassa Valnerina, al versante di Massa Martana-Acquasparta. Risulta odioso, come provvedimento inflitto alla città che è priva di ogni rappresentanza diretta in regione che si levi a tutelarla, anche per ciò indecente e indifendibile sul piano politico. La spontanea sollevazione della popolazione, scesa anche in piazza con civili manifestazioni, peraltro anche fatte silenziare e moderare dalle Forze dell’Ordine appellandosi alle vigenti normative straordinarie anti-assembramenti, lascia alquanto indifferenti sia le altre città umbre, regnando ormai la miope dottrina del “finché non tocca me…”, sia soprattutto il ceto politico regionale: tanto di maggioranza, che non osa discostarsi dalla solidarietà con la Giunta neanche in casi eclatanti, quanto di minoranza, intenta solo a scavarsi scialbe nicchie di interlocuzione per sopravvivere, sì da far pensare ad una anomala Legislatura senza opposizione.
La massima risposta alle reazioni del territorio, consiste in una imbarazzata conferenza stampa on line della Presidente Tesei, in cui la stessa, frammista agli altri argomenti, dà la sua parola che l’Ospedale sacrificato sarà ripristinato com’era ad emergenza finita; seguita da un “atto di indirizzo” deliberato dalla sua Giunta, col quale ci si impegna a ricostituire – ma in tutti gli Ospedali, senza specificazioni su Spoleto – i reparti pre-esistenti all’epidemia una volta che questa sia superata, e con la precisazione che ciò avvenga compatibilmente col nuovo Piano Sanitario Regionale che è in gestazione. Quest’ultima clausola, intuibilmente, infirma ogni impegno, per il semplice fatto che è la stessa Regione a redigere il PSR, nel quale verserà a propria discrezione ogni conservazione, soppressione, classificazione e dotazioni di Ospedali, reparti e servizi.
Inutile dire che, all’avvicinarsi della scadenza di validità della nefasta ordinanza (31 gennaio 2021), la Presidente della Regione emette la nuova ordinanza n.12 del 28 gennaio, con cui proroga la vigenza fino al 30 aprile 2021. Poiché l’emergenza sanitaria è ben lungi dall’esaurirsi, sono scontate proroghe a seguire, fino a farci arrivare al varo del Piano Sanitario Regionale in queste umilianti condizioni.
Va detto che suscita ancor maggiore indignazione il tentativo, da parte delle forze politiche regionali e ambienti della stessa struttura di governo regionale, di presentare la protesta della città, dell’Amministrazione Comunale e delle Associazioni cittadine (oltre quaranta, riunite nel City Forum), come fenomeno grettamente localistico, se non addirittura di campanilismo contrario allo spirito di solidarietà che dovrebbe regnare nel momento del dramma epidemico, coi suoi troppi morti ed ammalati, da fronteggiare. E’ ben noto che la comunità spoletina e i suoi amministratori hanno da subito manifestato piena disponibilità ad accogliere nel proprio Ospedale un reparto, anche ampio, destinato ai pazienti Covid in ordinaria degenza e terapia intensiva e sub-intensiva; ma con le stesse modalità di parziale dedicazione adottate negli altri principali nosocomi e con ragionevole proporzione alle potenzialità logistiche e professionali, mantenendo – seppur ridotta – la funzionalità dei reparti ordinari, che restano indispensabili alle diverse patologie. La Regione, invece di far questo, ha completamente smantellato il solo Ospedale di Spoleto (oltre a Pantalla di Todi, che aveva già sacrificato come non-DEA e per il quale andrà fatto un discorso a parte, anch’esso molto delicato).
Alle corte, mentre la città si trova a patire il colpo più grave che la Regione – fin dalla sua istituzione nel 1970 – ha mai inflitto ad una delle sue primarie realtà umane e civili, mentre – da nessuno patrocinata – deve organizzare una propria compatta reazione contro le ostilità politiche e l’insensibilità che quasi la accerchia, mentre deve predisporsi lucidamente ai confronti che dovranno pur esserci in vista del PSR e della rimessa in discussione del sempre ribadito polo sanitario Foligno/Spoleto/Valnerina, il Consiglio Comunale di Spoleto non trova di meglio che votare a maggioranza una formale mozione di sfiducia al Sindaco, che pertanto cade – secondo legge – con contestuale scioglimento dello stesso Consiglio e nomina di un Commissario Straordinario da parte del Prefetto.
Quale maggioranza si è assemblata su tale votazione (considerato che il Consiglio è composto da 24 membri più il Sindaco, eletto direttamente dai cittadini)? I firmatari originari della mozione, dieci, dei quali sette provenienti dalla coalizione elettorale che era stata in appoggio al Sindaco Umberto De Augustinis: un consigliere eletto di FdI e altri due passati a questo partito dalle “liste civiche del Sindaco” con cui erano stati eletti; tre consiglieri della Lega, sui sette che ne contava il gruppo; una consigliera dei due spettanti a Forza Italia, in rotta con il suo capogruppo. Ulteriori tre, che sono stati eletti nelle liste civiche di minoranza abbinate alla già candidata Sindaco Maria Elena Bececco, la quale per parte sua si dissocia dall’iniziativa con comunicati che chiariscono (va detto, efficacemente) la sua posizione critica, ma di lealtà cittadina nell’emergenza.
Restano con il Sindaco, oltre agli Assessori non votanti, quattro consiglieri della Lega, compreso il Presidente del Consiglio Sandro Cretoni, il capogruppo di Forza Italia e tre consiglieri della lista civica “Laboratorio”.
Tutti si rendono conto che mesi di commissariamento – con l’Ospedale, problema dei problemi, senza il quale una città a fatica può dirsi tale; con le opere pubbliche, a cominciare dal completamento della Strada Tre Valli, di cui sarebbe vitale rilanciare la priorità; la conquista di quanto possibile dei fondi europei “Recovery” e la ricostruzione post-sismica tutta da accelerare; per non parlare delle crisi aziendali e delle angosce occupazionali – sono una prospettiva più che preoccupante. Ottima e qualificata persona che sia, il Commissario è destinato a curare transitoriamente gli affari correnti, non certo ad ingaggiare battaglie e tavoli di confronto con gli altri livelli istituzionali, durante questi mesi del 2021 nei quali però matureranno decisioni davvero fondamentali. Con salvezza dei modi di sentire verso la persona del De Augustinis, legittimamente opinabili e differenziati, la più diffusa opinione pubblica non ritiene affatto tempestivo e producente, ora come ora, l’abbattimento dell’Amministrazione in carica.
Si apre, in tal frangente, una interlocuzione tra il Sindaco (che ritiene di farlo individualmente) e la minoranza PD (quattro consiglieri, tra i quali la sua ex competitrice nel ballottaggio 2018, Camilla Laureti), più altra consigliera di lista civica di sinistra collegata, per verificare se sussistano le condizioni praticabili per una nuova maggioranza di “salute” o “emergenza” cittadina, intorno ad un ristretto programma di riconosciute priorità del territorio: una sorta di “governo Draghi in salsa umbra”, multum mutatis mutandis…
Ma i colloqui falliscono, mentre apprendiamo che politicamente i partiti fibrillano. La segreteria regionale della Lega espelle i propri assessori e i quattro consiglieri rimasti in appoggio al Sindaco (praticamente la Lega… si espelle da Spoleto) e gli espulsi si costituiscono in Gruppo indipendente; dal canto suo, la segreteria regionale di Forza Italia espelle la consigliera sfiduciante.
Secondo quanto leggiamo e viene riferito, in contrapposte versioni, ai cittadini, il PD accusa il De Augustinis di essersi presentato al tavolo paradossalmente altezzoso e indisponibile a mettere sul piatto le proprie dimissioni come segno di inaugurazione di una “svolta” totale. Gli ambienti del Sindaco sostengono che sul piatto sarebbe stato offerto l’azzeramento completo della Giunta e una selettiva proposta programmatica, mentre le dimissioni del Sindaco sarebbero state incomprensibili alla gente, posto che per legge è l’unico che non si può cambiare e perciò sarebbe tornato in carica dopo una settimana. Peggio ancora, se accompagnate da un documento, come (sembra) preteso dai piddini, in cui il De Augustinis desse atto che la sua Amministrazione dimissionata aveva fallito su tutti i fronti e che pertanto gli elettori del 2018… avevano sbagliato a votare!
In breve, nella sconcertante seduta consiliare (telematica) dell’11 marzo 2021, viene decretata la fine anticipata del mandato sindacale e consiliare.
Di chi sono le responsabilità? Lo stabiliranno gli elettori, verosimilmente riconvocati nell’Ottobre prossimo. Sempre che le pronte ricostruzioni mistificatorie dei partiti, gli avvitamenti personalistici, la sfiducia pervasiva e generalizzante, il peso sovrastante delle preoccupazioni, sanitarie ed economiche, di ciascuno, rendano possibile agli onesti cittadini formarsi un’opinione dominante e soprattutto conseguente sul futuro da auspicare ed a chi affidarne la non facile gestione.
Per adesso – e non altro che da persone attente e dedite alla cosa pubblica – possiamo dire obiettivamente che ciascuno ci ha messo del suo…
Presidente e Giunta Regionale che, senza alcuna consultazione, adottano un provvedimento iniquo, indecoroso, inutile e complessivamente dannoso, indiziato di illegittimità sotto più profili (comunque se ne esca il TAR), con il quale ha dichiarato ostilità ad una delle sue municipalità più identitarie e ad un territorio delicatissimo….
Un Sindaco, di autorevolezza e integrità indiscutibili, sicuramente amante della sua città di radicata adozione, ma portosi con profilo legnoso e una certa qual supponenza mal convivibile con l’esigenza di continuo confronto propria, anche se sfibrante, di una democrazia anche di formato locale; con l’aggiunta di una non riuscita sintesi tra espressioni civiche e componenti partitiche, con le quali si è accettata la coalizione…
Una compagine consiliare, sarebbe ingiusto dire tutta, ma in troppa parte di corte vedute, animata da pulsioni e intemperanze personalissime di modesta caratura, dimostratasi – ripetiamo, fortunatamente non tutta – inadeguata alla drammaticità del momento, sollecitante un generoso “colpo di reni”, che i cittadini avrebbero compreso e promosso: particolarissimamente nella consapevolezza che sul diritto alla propria struttura ospedaliera DEA si gioca il destino sociale stesso della comunità rappresentata, passando in terza linea ogni altra contendibile problematica…
Direzioni regionali dei partiti – identificabili peraltro in chi si autodesigna alle cariche elettive di rappresentanza d’area vasta – che non solo non incoraggiano né affiancano i rispettivi eletti locali nella tutela degli interessi legittimi e generali dei territori, ma anzi li fomentano verso le implosioni, credendo di rivendicare piuttosto visibilità politica e di garantirla con interventi di presunta autorità…
Ma ora (in attesa di chiedersi, più ri-costruttivamente possibile, per chi… resti da votare nelle nuove elezioni comunali) conviene aprire una riflessione più ampia sulla “vicenda Spoleto”, che già da mesi abbiamo segnalato come caso tutto politico dai riverberi emblematici e dalle valenze molto travalicanti un sia pur importante ambiente municipale. Parliamone nelle prossime settimane, se credete.
Primo. Le Regioni, quale che ne sia il colore di governo, stanno rovinosamente fallendo in quella che, almeno, poteva essere la loro “mission” vocazionale: legare i territori, unire con equità ed equilibrio le città, valorizzare e se mai incrementare i loro patrimoni di istituzioni e servizi primari, interpretare le loro “voci”, far sì che ciascuna comunità si sentisse motivata dal far parte integrante di una conquistata ed attiva solidarietà di destino. Stanno facendo esattamente il contrario: quelle “possedute” dalle sinistre si sono introgolate in una sclerotizzazione clientelare, cascame ereditario dell’invasività socialcomunista. Buona parte di quelle “riscattate” dal centro-destra, oltre tutto in lunga stagione di recessività economica, ristagnano per ora nella ripetizione dei riti, perpetuazione dei quadri burocratici senza far affiorare credibili risorse da ricambio, autopromozioni verbali accompagnate da risultati intermittenti o episodici e non rari scivoloni. La Giunta Regionale umbra rischia la deriva in questo contesto e l’inaccettabile condotta sulla “quaestio” ospedaliera spoletina è molto più di un campanello d’allarme. A chi ne senta il dovere, il compito di riconciliarsi con il territorio mediante irrinviabili (e, certo, ben presentati) atti concludenti…
Secondo. Sulla stessa lunghezza d’onda, decidano un po’, anche in Umbria, le formazioni ancora oggi maggioritarie (Lega e Fratelli d’Italia) – al di là dello sfidarsi in scaramucce poco “leggibili” nei moventi, con intimazioni di “cambio di passo” e rimaneggiamenti organigrammatici – come intendono risintonizzarsi a loro volta con le realtà umane e territoriali, che sono non oggetto ma soggetti privilegiandi delle movimentazioni politiche. E, per inciso, non è detto che confermino a tempo indeterminato e senza condizioni la loro generosità elettorale…
Terzo. Se l’impresentabile approccio alla dolorosa vicenda Spoleto chiama in campo lo sbandamento delle “destre” (Forza Italia, nel suo odierno peso limitato, si è contenuta quantomeno con maggior prudenza da parte delle sue segreterie), sia ben chiaro che altrettanto ha messo a nudo l’inconsistenza, di per se stessa fragile e sterile, del Partito Democratico. Il quale, a livello di Regione, con consiglieri alla affannata ricerca di una propria ragion d’essere e immeritevoli perfino della qualifica di opposizione, hanno taciuto completamente sull’Ospedale DEA di Spoleto, con ciò rendendosi complici della Giunta; anche loro sentendosi apparentemente “estranei” al territorio, o forse inibiti dall’essere eredi di quelle Giunte Lorenzetti e Marini, che avevano lavorato negli anni all’erosione dell’Ospedale stesso, per dirottarne utenze e professionalità, ma senza azzardare un decreto ablativo come quello adottato, nella pretestuosa occasione del Covid, dalla Giunta attuale (che era stata eletta per “cambiare le cose”!)…
Mediocrissimi però anche i consiglieri locali del PD, inutilmente dipendenti dai referenti regionali che non si curano della città. Anch’essi si attestano sul puerile puntiglio di esigere dimissioni-farsa del Sindaco a valere cinque o sei giorni e perdono l’occasione di accreditarsi, con voti che sarebbero stati condizionanti, come il partito del “superiore interesse della città”. Un’immagine concreta che gli avrebbe consentito di competere alla nuova scadenza elettorale, come accreditabile alternativa, tale da remotizzare gli sgradevoli antefatti della sinistra nei lunghi anni di suo dominio amministrativo. I suoi consiglieri hanno preferito un improducente “inciucio in negativo” con i partiti di destra, firmando insieme a questi una mozione che non determina alcuna svolta, ma solo un vuoto istituzionale nei mesi in cui particolarmente la sorte dell’Ospedale e di quanto lo riguarderà nel PSR verranno discussi e stabiliti.
Quarto. E’ il capitolo aperto sulla città stessa, sulla sua compagine umana e culturale, sulla sua forza, intelligenza, capacità di portarsi fuori – per quanto possibile e comunque – dalla “tempesta perfetta”. Non ascoltando “soloni” e “sociologi” che su di essa discettano senza conoscerla, si impancano a giudizio da ogni altrove perché municipalisticamente non la amano, anzi – diciamolo – l’hanno a fastidio: torneremo sull’argomento. Ma trovando nella propria anima la “cifra” con cui riproporsi e riconfigurare virtuosamente le proprie interrelazioni con le comunità consorelle, in tutti e quattro i punti cardinali. Questa la sfida, che è altamente politica perché civica, di una comunità alle stesse forze politiche. Le quali, nelle molte Spoleto che in Italia rivendicano il diritto di vivere e prosperare, sono chiamate a dimostrare, oggi che non c’è più rendita di posizione ideologica su cui campare e svolazzare, che sanno immedesimarsi nei luoghi e in chi li abita, servirli e non (pretendere di) servirsene.
articolo pubblicato il: 28/03/2021 ultima modifica: 08/04/2021