Ad ogni anno nuovo appaiono su tanti giornali le previsioni degli astrologi. C’è anche gente che ci crede veramente, ma sarebbe interessante, per chi lo volesse, rileggere ad ogni fine d’anno se le previsioni per il proprio segno si siano a meno avverate.
Non c’è, invece, bisogno di guardare agli astri per fare previsioni che, se si avverassero, sarebbero la fine del mondo occidentale così come eravamo abituati a considerarlo dalla fine della Seconda guerra mondiale. Dopo il 1945, nessuno poteva immaginare che si potesse scatenare un conflitto tra due Stati europei come quello tra la Russia e l’Ucraina. Le guerre tra le repubbliche nate dalla dissoluzione della Iugoslavia non ebbero il potere di mettere in discussione la pace mondiale; Clinton ordinò i bombardamenti ben sapendo che la Russia non era ancora, soprattutto psicologicamente, in grado di costituire un vero contropotere politico dopo la dissoluzione dell’Unione sovietica e la fine, almeno a parole, del comunismo.
La guerra in Ucraina, che a lungo ha monopolizzato gli spazi dei telegiornali, oggi è quasi del tutto scomparsa dai media, esautorata, prima dalle operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza, adesso dal pericolo costituito dalle dichiarazioni dei massimi esponenti del potere teocratico iraniano, che fanno presagire un allargamento della guerra a tutto il Medio Oriente. Si consideri che, più o meno ufficialmente, sia l’Iran che Israele dispongono di un armamento nucleare. Dio ce ne scampi e liberi.
Se allunghiamo lo sguardo più in là, in Estremo Oriente, Kim Jong-un, dittatore comunista della Corea del Nord, ogni tanto minaccia sfracelli per distrarre la popolazione dalla fame che l’attanaglia. Ultimamente ha ordinato di subissare di missili due sperdute isole sudcoreane, ha fornito missili alla Russia da usare contro l’Ucraina, ha preannunciato la costruzione di satelliti spia e lo sviluppo dell’industria nucleare ed ha visitato una fabbrica d’armi insieme alla figlia, che sarà probabilmente la quarta generazione di presidenti nordcoreani, dato che, sembra, la sua bella sorella è politicamente in declino.
La Cina, da parte sua, non pare essere da meno, preparandosi, in tutta serietà, ad annettersi Taiwan, la vecchia Formosa in cui trovarono scampo i nazionalisti sconfitti da Mao. Taiwan non è Macao e nemmeno Hong-Kong, perché è sede di imprese d’avanguardia nel campo dell’informatica e dell’intelligenza artificiale, legate a doppio filo con analoghe realtà statunitensi ed europee. Pazzesco immaginare che succederà se la Cina riuscisse a mettere le mani su certe banche dati di Taipei.
In tutti questi avvenimenti, dietro l’imponente scrivania chiamata Resolute desk, con alle spalle i tre imponenti finestroni dello Studio ovale, siede Joe Biden, un vecchietto di ottantuno anni che pretenderebbe di sederci fino agli ottantasei, più o meno. Gli ultraottantenni possono fare ancora grandi cose, ma non hanno certo la velocità che si richiede al Presidente della più importante potenza mondiale, per di più con un Congresso ostile.
Contro di lui c’è il rischio che voglia tornare a governare gli USA il settantasettenne Donald Trump, personaggio di non proprio specchiate virtù, che ha avuto l’unico merito di bloccare, dopo che lo aveva già fatto Barack Obama, le ambizioni presidenziali di Hillary Clinton, colei che telefonò in Italia per chiedere come mai un tribunale del Belpaese osasse giudicare una cittadina americana.
Buon anno!
articolo pubblicato il: 05/01/2024 ultima modifica: 17/01/2024