Siamo abituati a dare per scontato, ogni volta che adoperiamo
uno strumento qualsiasi, che la perizia necessaria al suo impiego sia
piu' importante dello strumento stesso, malgrado la bonta' di
quest'ultimo possa talvolta fare la differenza. Un po' come dire che
chi non ha avuto modo di studiare una data materia sara'
necessariamente meno prestante, rispetto a qualcun altro che, pur non
particolarmente versato, abbia avuto modo di frequentare per qualche
tempo un buon maestro. Conta l'esecutore del brano, non gia' la
perfezione dello strumento. Per qualche ragione, chi e' in grado di
controllare gli umori del mercato, ha deciso, nell'ultimo lustro, che
la perpetua e folle corsa verso l'innovazione tecnologica debba
prendere, malgrado cio', una strada diversa.
Non piu' macchine costruite per svolgere meglio di altre uno
scopo prefisso, ma con il semplice obiettivo della propria
sussistenza. Quasi di fronte ad una nuova ontologia, abbiamo a che
fare con una ``tecnologia'' che non ricalca i fini tradizionali che la
ricerca si pone. Una ``tecnologia'' che tende ad eliminare il pensiero
vigile e consapevole dell'essere umano, in quanto non necessario. Per
inciso sarebbe legittimo domandare a che cosa servirebbero davvero, o
meglio a chi, sviluppi di questo genere. Questi escono completamente
dall'etimo del termine ``tecnologia'' in quanto arte, capacita'
pratico-realizzativa come prerogativa inalienabile dell'uomo.
Ma lo sviluppo e la diffusione di queste mistificazioni, di
queste ipostasi dogmatiche di enti mitici quali il soddisfacimento di
bisogni che non ci appartengono ne' lo potrebbero, non hanno precluso,
e fortuitamente sembra non precludano del tutto, il progresso della
tecnologia propriamente detta. Intendendo con questa lo sviluppo di
tutte quelle conoscenze che, oggettivate, rappresentano l'esaltazione
della creativita' dell'uomo, in contrasto al tentativo meschino ed
egoistico di renderla superflua.
Avendo provveduto a sgomberare il campo da tutto cio' che
qualitativamente non costituisce innovazione, e che per mera necessita'
di mercato inquina la cultura collettiva, ci si puo' concentrare su
aspetti culturali decisamente piu' interessanti. La domanda
imbarazzante che giace al fondo della questione tecnologica si
potrebbe formulare in questi termini: ``E' possibile per l'uomo creare
una intelligenza, una mente di qualsiasi natura, che risulti essere
poi consapevole di se'?'' Questa domanda contiene in se' alcuni aspetti
decisamente inquietanti. Da circa trenta anni, la questione sembra
essere la' sul piatto, a dividere gli appassionati nei fautori dell'
``IA forte'' e della cosiddetta ``IA debole''. Questi ultimi
rispondono con un deciso NO alla domanda di cui sopra, sebbene con
varie sfumature.
Uno dei libri piu' belli che si possa leggere sull'argomento e'
``La Mente Nuova dell'Imperatore'' di Roger Penrose. Penrose e' un
matematico eccelso, noto nel suo mondo, ma noto anche al grande
pubblico come amico fraterno del grande fisico Hawking. Quest'ultimo
afferma, in un altro libro famosissimo, di aver scommesso un
abbonamento ad una nota rivista pornografica per una questione sulla
quale dibattevano da tempo. La questione al riguardo, trattava di
formule complicate, strani inestetismi su pagine di testo pieno zeppo
di affermazioni estemporanee concetti astratti come l'entropia, nulla
che travolga, di per se', il grande pubblico; eppure due menti di tal
genere, pronte a darsi battaglia fino a scommettere un abbonamento a
Penthouse per avvalorare la propria credibilita' scientifica ed
accademica, entrambi si trovano d'accordo nell'affermare che
realizzare una macchina consapevole non e' possibile. Neanche in linea
teorica. Il titolo del libro sta appunto a significare che ``il re e'
nudo''. Ma... quale re ? Il fatto che le macchine odierne non
realizzino lo scopo di cui sopra non vuol dire che sia quello che si
propongono. L'informatica e' passata da territorio di ricerca a puro
strumento di consumo. Non abbiamo bisogno di intelligenze che si
sostituiscano alla nostra, o di macchine che apprezzino davvero la
nostra musica. Abbiamo solamente bisogno di calcolatrici piu' veloci e
piu' precise, di strumenti per registrare al meglio la contabilita' e
prenotare le nostre vacanze, cercando di escludere, con il massimo
margine di sicurezza, che una tempesta magnetica cancelli la tanto
agognata prenotazione.
Questa davvero non e' intelligenza artificiale, ma,
soprattutto, non pretende di esserlo. Manca la caratteristica
principale, la riflessivita', l'arroganza, tipica dell'uomo, nel
suddividere il mondo in categorie, classificare tutto in base
all'analogia con il se', o al concetto di alterita'. Insomma, la
consapevolezza di se', che preferiremmo davvero che un programma di
contabilita' non avesse.
Ma qualcuno che si occupa di IA, a ben vedere, rintanato nei
laboratori, sembra esistere ancora, lontano dalle luci della ribalta.
Il bellissimo libro di Penrose non la racconta giusta; dopo
l'introduzione, decisamente da libro divulgativo, il lettore meno
paziente si trova a saltare le pagine piene di stringhe binarie
contenenti in dettaglio tutte le possibili combinazioni di macchine di
Turing di lunghezza n di classe due... Poi sembra migliorare, la
trattazione si fa appassionante, il testo e' un crogiuolo nel quale
l'autore riversa tutto il suo scibile, di portata indubbiamente
soverchiante. Sembra sulle prime avvalorare le tesi dell'IA forte,
malgrado si intuisca che l'approdo ultimo della trattazione verta
altrove. Viene trattato anche, con una certa chiarezza, che cosa sia
il principio antropico, giacche' molte sembrano essere le analogie e i
richiami al tema intorno la necessita' filosofica di un'interpretazione
in senso ``forte'' di asserzioni di portata cosmologica.
Tuttavia la dialettica viene decisamente interrotta laddove
l'autore tira in ballo l'ennesimo, soverchiante, risolutivo mostro: la
Meccanica Quantistica. Sembrerebbe che, malgrado il successo crescente
delle tecnologie applicate, la ragione del perche' non sia possibile
realizzare una vera Intelligenza Artificiale, risieda nelle pieghe
dell'unica grande teoria fisica della cui verita' non riuscivano a
capacitarsi neanche gli scopritori, e i cui riscontri a livello
atomico sembrano essere sorprendentemente in contrasto con il
comportamento dei macrosistemi che i nostri sensi descrivono al
meglio.
Questa argomentazione tronca ogni discussione, laddove invece il
dibattito filosofico si muove sul terreno dei principi
teorico/matematici e nulla, nulla davvero sembra in grado a priori di
escludere una possibilita' come il pensiero artificiale. Ne' si
comprende perche' dovrebbe. La questione che sussiste e' se mai si
arrivera' a possedere le capacita' necessarie a creare una tale mente
artificiale. Ma non mi sembra una argomentazione della medesima
portata filosofica. Dettagli, cose che il trascorrere del nostro tempo
spazzera' via.
Il commercio, la necessita' di trarre dei ricavi, ha creato il
malinteso di una tecnologia che fosse anche scienza. La scienza
dell'informazione continua ad esistere ed evolve, ma la maggior parte
di quello che vediamo e' la mera applicazione dei suoi principi piu'
utilitaristici. La maggior parte della nostra tecnologia e' costituita
da macchine che svolgono un compito, che implementano un algoritmo.
Una Intelligenza Artificiale non deve eseguire algoritmi, deve
piuttosto generarne di nuovi. E questo a prescindere dal famigerato
test di Turing, che per certi versi e' una proposizione
lapalissiana. Di fatto, fin tanto che e' possibile discriminare, sulla
base di palesi incongruenze, le affermazioni di una macchina da quelle
di un uomo, non si vede chi dovrebbe essere tanto incauto da affermare
che siano in realta' dovute ad una Mente Pensante. Ma l'ovvieta' di
questo test come condizione necessaria perche' si sia di fronte ad una
intelligenza artificiale, non deve far credere che questa sia anche
una condizione sufficiente. Ritenerla tale corrisponderebbe a negare,
ad esempio, l'intelligenza animale. Come dire che non riusciamo in
alcun modo a liberarci da un'antropocentrismo epistemologico che
discende, per forza di cose, dalla lotta che l'uomo conduce ed ha
sempre condotto per perpetuare la propria presenza su questa terra,
contro il clima, le specie predatrici, le altre razze. Ma la scienza
si pone lo scopo di superare, per quanto possibile, tali
condizionamenti ambientali ed eventuali opinioni preconcette.
Ed una macchina che sia capace di creare algoritmi non e' affatto
fantascienza, semplicemente e' qualcosa di meno solito, ed
apparentemente meno utile, di una che si limiti ad eseguire un
compito; e' possibile creare macchine che generino algoritmi, e ne
esistono.
Esistono linguaggi in cui il dato da processare e' strutturalmente
analogo al codice che esegue, in modo tale che l'implementazione di un
dato algoritmo produca, in luogo di dati, altri algoritmi. Ad esempio,
il linguaggio LISP, vecchio di quasi trenta anni, e' strutturato in
tale modo.
Inoltre, non sappiamo padroneggiare architetture di calcolo che
abbiano un grado di parallelismo nel processamento delle informazioni
analogo a quello di una mente vera. Ovvero, esistono operazioni di cui
non sappiamo prevedere il risultato nel corso di una particolare
elaborazione. La nostra modellistica attuale non riesce a prevedere
tutti i risultati, ma non vuol dire che si discosti dalla realta' dei
fatti.
Darwin scandalizzo' per le sue teorie evoluzionistiche, al momento
sembra che nessuno voglia parlare della ``programmazione
genetica''. Nulla a che vedere con la genetica propriamente detta, per
``programmazione genetica'' si intende un programma suddiviso in due
parti; la prima genera, casualmente, delle regole; ad esempio,
un'applicazione realizzata costruiva casualmente circuiti a partire da
resistenze ed induttori, variandone le specifiche, il numero e la
disposizione. La seconda fase consiste invece nel selezionare, in
senso darwinistico, la classe di circuiti che meglio risponde a
caratteristiche di natura arbitraria. Da qui in poi, vengono
introdotte delle ``mutazioni'' casuali, a partire dalle quali, alcuni
esemplari evolvono verso una maggiore specializzazione, ed altri
invece si estinguono perche' non piu' ``adatti a riprodursi''. Il
risultato sorprendente di un tale programma e' stato che si
riproducevano cosi', in maniera del tutto non-deterministica, note
invenzioni alle quali l'uomo e' pervenuto con secoli di studio e di
tentativi mirati. In particolare, una macchina simile e' stata in
grado di re-inventare, ad esempio, particolari filtri passabanda,
nonche' circuiti studiati e brevettati in precedenza da aziende
multinazionali dell'elettronica.
La ricorsivita' e il parallelismo dell'elaborazione sono il segreto
della nostra ``dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali,'' il
nostro apparente caos, la nostra liberta' di scelta. Lo stupore per il
mondo che si cela dietro ciascuna delle nostre menti, deve pero'
spingerci ad abbandonare la pretesa che, a tutti i costi, la nostra
mente sia in definitiva la migliore che si possa progettare.