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il dibattito sull'intelligenza artificiale
di Paolo Lulli

Siamo abituati a dare per scontato, ogni volta che adoperiamo uno strumento qualsiasi, che la perizia necessaria al suo impiego sia piu' importante dello strumento stesso, malgrado la bonta' di quest'ultimo possa talvolta fare la differenza. Un po' come dire che chi non ha avuto modo di studiare una data materia sara' necessariamente meno prestante, rispetto a qualcun altro che, pur non particolarmente versato, abbia avuto modo di frequentare per qualche tempo un buon maestro. Conta l'esecutore del brano, non gia' la perfezione dello strumento. Per qualche ragione, chi e' in grado di controllare gli umori del mercato, ha deciso, nell'ultimo lustro, che la perpetua e folle corsa verso l'innovazione tecnologica debba prendere, malgrado cio', una strada diversa.

Non piu' macchine costruite per svolgere meglio di altre uno scopo prefisso, ma con il semplice obiettivo della propria sussistenza. Quasi di fronte ad una nuova ontologia, abbiamo a che fare con una ``tecnologia'' che non ricalca i fini tradizionali che la ricerca si pone. Una ``tecnologia'' che tende ad eliminare il pensiero vigile e consapevole dell'essere umano, in quanto non necessario. Per inciso sarebbe legittimo domandare a che cosa servirebbero davvero, o meglio a chi, sviluppi di questo genere. Questi escono completamente dall'etimo del termine ``tecnologia'' in quanto arte, capacita' pratico-realizzativa come prerogativa inalienabile dell'uomo.

Ma lo sviluppo e la diffusione di queste mistificazioni, di queste ipostasi dogmatiche di enti mitici quali il soddisfacimento di bisogni che non ci appartengono ne' lo potrebbero, non hanno precluso, e fortuitamente sembra non precludano del tutto, il progresso della tecnologia propriamente detta. Intendendo con questa lo sviluppo di tutte quelle conoscenze che, oggettivate, rappresentano l'esaltazione della creativita' dell'uomo, in contrasto al tentativo meschino ed egoistico di renderla superflua.

Avendo provveduto a sgomberare il campo da tutto cio' che qualitativamente non costituisce innovazione, e che per mera necessita' di mercato inquina la cultura collettiva, ci si puo' concentrare su aspetti culturali decisamente piu' interessanti. La domanda imbarazzante che giace al fondo della questione tecnologica si potrebbe formulare in questi termini: ``E' possibile per l'uomo creare una intelligenza, una mente di qualsiasi natura, che risulti essere poi consapevole di se'?'' Questa domanda contiene in se' alcuni aspetti decisamente inquietanti. Da circa trenta anni, la questione sembra essere la' sul piatto, a dividere gli appassionati nei fautori dell' ``IA forte'' e della cosiddetta ``IA debole''. Questi ultimi rispondono con un deciso NO alla domanda di cui sopra, sebbene con varie sfumature.

Uno dei libri piu' belli che si possa leggere sull'argomento e' ``La Mente Nuova dell'Imperatore'' di Roger Penrose. Penrose e' un matematico eccelso, noto nel suo mondo, ma noto anche al grande pubblico come amico fraterno del grande fisico Hawking. Quest'ultimo afferma, in un altro libro famosissimo, di aver scommesso un abbonamento ad una nota rivista pornografica per una questione sulla quale dibattevano da tempo. La questione al riguardo, trattava di formule complicate, strani inestetismi su pagine di testo pieno zeppo di affermazioni estemporanee concetti astratti come l'entropia, nulla che travolga, di per se', il grande pubblico; eppure due menti di tal genere, pronte a darsi battaglia fino a scommettere un abbonamento a Penthouse per avvalorare la propria credibilita' scientifica ed accademica, entrambi si trovano d'accordo nell'affermare che realizzare una macchina consapevole non e' possibile. Neanche in linea teorica. Il titolo del libro sta appunto a significare che ``il re e' nudo''. Ma... quale re ? Il fatto che le macchine odierne non realizzino lo scopo di cui sopra non vuol dire che sia quello che si propongono. L'informatica e' passata da territorio di ricerca a puro strumento di consumo. Non abbiamo bisogno di intelligenze che si sostituiscano alla nostra, o di macchine che apprezzino davvero la nostra musica. Abbiamo solamente bisogno di calcolatrici piu' veloci e piu' precise, di strumenti per registrare al meglio la contabilita' e prenotare le nostre vacanze, cercando di escludere, con il massimo margine di sicurezza, che una tempesta magnetica cancelli la tanto agognata prenotazione.

Questa davvero non e' intelligenza artificiale, ma, soprattutto, non pretende di esserlo. Manca la caratteristica principale, la riflessivita', l'arroganza, tipica dell'uomo, nel suddividere il mondo in categorie, classificare tutto in base all'analogia con il se', o al concetto di alterita'. Insomma, la consapevolezza di se', che preferiremmo davvero che un programma di contabilita' non avesse.

Ma qualcuno che si occupa di IA, a ben vedere, rintanato nei laboratori, sembra esistere ancora, lontano dalle luci della ribalta. Il bellissimo libro di Penrose non la racconta giusta; dopo l'introduzione, decisamente da libro divulgativo, il lettore meno paziente si trova a saltare le pagine piene di stringhe binarie contenenti in dettaglio tutte le possibili combinazioni di macchine di Turing di lunghezza n di classe due... Poi sembra migliorare, la trattazione si fa appassionante, il testo e' un crogiuolo nel quale l'autore riversa tutto il suo scibile, di portata indubbiamente soverchiante. Sembra sulle prime avvalorare le tesi dell'IA forte, malgrado si intuisca che l'approdo ultimo della trattazione verta altrove. Viene trattato anche, con una certa chiarezza, che cosa sia il principio antropico, giacche' molte sembrano essere le analogie e i richiami al tema intorno la necessita' filosofica di un'interpretazione in senso ``forte'' di asserzioni di portata cosmologica.

Tuttavia la dialettica viene decisamente interrotta laddove l'autore tira in ballo l'ennesimo, soverchiante, risolutivo mostro: la Meccanica Quantistica. Sembrerebbe che, malgrado il successo crescente delle tecnologie applicate, la ragione del perche' non sia possibile realizzare una vera Intelligenza Artificiale, risieda nelle pieghe dell'unica grande teoria fisica della cui verita' non riuscivano a capacitarsi neanche gli scopritori, e i cui riscontri a livello atomico sembrano essere sorprendentemente in contrasto con il comportamento dei macrosistemi che i nostri sensi descrivono al meglio.

Questa argomentazione tronca ogni discussione, laddove invece il dibattito filosofico si muove sul terreno dei principi teorico/matematici e nulla, nulla davvero sembra in grado a priori di escludere una possibilita' come il pensiero artificiale. Ne' si comprende perche' dovrebbe. La questione che sussiste e' se mai si arrivera' a possedere le capacita' necessarie a creare una tale mente artificiale. Ma non mi sembra una argomentazione della medesima portata filosofica. Dettagli, cose che il trascorrere del nostro tempo spazzera' via.

Il commercio, la necessita' di trarre dei ricavi, ha creato il malinteso di una tecnologia che fosse anche scienza. La scienza dell'informazione continua ad esistere ed evolve, ma la maggior parte di quello che vediamo e' la mera applicazione dei suoi principi piu' utilitaristici. La maggior parte della nostra tecnologia e' costituita da macchine che svolgono un compito, che implementano un algoritmo. Una Intelligenza Artificiale non deve eseguire algoritmi, deve piuttosto generarne di nuovi. E questo a prescindere dal famigerato test di Turing, che per certi versi e' una proposizione lapalissiana. Di fatto, fin tanto che e' possibile discriminare, sulla base di palesi incongruenze, le affermazioni di una macchina da quelle di un uomo, non si vede chi dovrebbe essere tanto incauto da affermare che siano in realta' dovute ad una Mente Pensante. Ma l'ovvieta' di questo test come condizione necessaria perche' si sia di fronte ad una intelligenza artificiale, non deve far credere che questa sia anche una condizione sufficiente. Ritenerla tale corrisponderebbe a negare, ad esempio, l'intelligenza animale. Come dire che non riusciamo in alcun modo a liberarci da un'antropocentrismo epistemologico che discende, per forza di cose, dalla lotta che l'uomo conduce ed ha sempre condotto per perpetuare la propria presenza su questa terra, contro il clima, le specie predatrici, le altre razze. Ma la scienza si pone lo scopo di superare, per quanto possibile, tali condizionamenti ambientali ed eventuali opinioni preconcette.

Ed una macchina che sia capace di creare algoritmi non e' affatto fantascienza, semplicemente e' qualcosa di meno solito, ed apparentemente meno utile, di una che si limiti ad eseguire un compito; e' possibile creare macchine che generino algoritmi, e ne esistono.

Esistono linguaggi in cui il dato da processare e' strutturalmente analogo al codice che esegue, in modo tale che l'implementazione di un dato algoritmo produca, in luogo di dati, altri algoritmi. Ad esempio, il linguaggio LISP, vecchio di quasi trenta anni, e' strutturato in tale modo.

Inoltre, non sappiamo padroneggiare architetture di calcolo che abbiano un grado di parallelismo nel processamento delle informazioni analogo a quello di una mente vera. Ovvero, esistono operazioni di cui non sappiamo prevedere il risultato nel corso di una particolare elaborazione. La nostra modellistica attuale non riesce a prevedere tutti i risultati, ma non vuol dire che si discosti dalla realta' dei fatti.

Darwin scandalizzo' per le sue teorie evoluzionistiche, al momento sembra che nessuno voglia parlare della ``programmazione genetica''. Nulla a che vedere con la genetica propriamente detta, per ``programmazione genetica'' si intende un programma suddiviso in due parti; la prima genera, casualmente, delle regole; ad esempio, un'applicazione realizzata costruiva casualmente circuiti a partire da resistenze ed induttori, variandone le specifiche, il numero e la disposizione. La seconda fase consiste invece nel selezionare, in senso darwinistico, la classe di circuiti che meglio risponde a caratteristiche di natura arbitraria. Da qui in poi, vengono introdotte delle ``mutazioni'' casuali, a partire dalle quali, alcuni esemplari evolvono verso una maggiore specializzazione, ed altri invece si estinguono perche' non piu' ``adatti a riprodursi''. Il risultato sorprendente di un tale programma e' stato che si riproducevano cosi', in maniera del tutto non-deterministica, note invenzioni alle quali l'uomo e' pervenuto con secoli di studio e di tentativi mirati. In particolare, una macchina simile e' stata in grado di re-inventare, ad esempio, particolari filtri passabanda, nonche' circuiti studiati e brevettati in precedenza da aziende multinazionali dell'elettronica.

La ricorsivita' e il parallelismo dell'elaborazione sono il segreto della nostra ``dipendenza sensibile dalle condizioni iniziali,'' il nostro apparente caos, la nostra liberta' di scelta. Lo stupore per il mondo che si cela dietro ciascuna delle nostre menti, deve pero' spingerci ad abbandonare la pretesa che, a tutti i costi, la nostra mente sia in definitiva la migliore che si possa progettare.

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