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cronache
Giuseppe Sinopoli

Festival di Taormina


Dal 7 al 10 ottobre si è svolto a Taormina la quinta edizione del Festival che porta il nome di Giuseppe Sinopoli, il direttore d'orchestra italiano morto nel 2001 a Berlino, mentre dirigeva l'Aida di Verdi. Aveva 54 anni. Grande direttore d'orchestra, tra i massimi interpreti degli ultimi cinquant'anni. Ma anche celebre compositore, la cui musica continua ad essere eseguita. E straordinario intellettuale, assetato si sapere, divoratore di libri, studioso rigoroso: si era laureato in medicina, con specializzazione in psichiatria all'Università di Padova e, quando era già un direttore famoso, si era innamorato dell'archeologia e aveva concluso i corsi universitari per la laurea alla "Sapienza" di Roma: gli mancava solo la discussione della tesi, per questo il corpo accademico dell'università romana gli ha conferito la laurea "post mortem". In Giuseppe Sinopoli, non si può dividere il musicista dall'uomo. Erano una cosa sola. Erano lui, una persona straordinaria, eccezionale, di cui tutti coloro che lo hanno conosciuto sentono forte la mancanza. Il Festival a lui intitolato a Taormina non è un Festival settoriale, dedicato solo alla musica. E' un Festival che gli assomiglia: abbraccia musica, teatro, letteratura, scienza, costume, le espressioni della vita. Giuseppe Sinopoli è stato soprattutto un testimone gioioso dei valori della vita. Una persona civilissima, nobile, gentile e generosa. Nel suo comportamento, era riservato e schivo. A un osservatore estraneo, poteva dare l'impressione di essere "un po' orso". In realtà, era solo timido, ma amabile e cordiale. Molto attaccato alla famiglia. Mi disse un giorno: <>. Un uomo che aveva costruito la propria carriera con il lavoro duro, continuo, appassionato, fidando sul proprio talento e mai su appoggi esterni. Quando è mancato, era al vertice della sua carriera. Una carriera internazionale tra le più prestigiose. Eppure, in patria non ebbe mai quel riconoscimento pieno che meritava. Fin da ragazzo, il suo sogno era di arrivare a dirige alla Scala. E ci arrivò solo nel 1994, quando era gia la stella di prima grandezza dei più celebri teatri del mondo. Da un decennio dirigeva regolarmente perfino al Festival wagneriano di Bayreuth, tempio inaccessibile se non ai miti del podio. Aveva debuttato in quel teatro con il "Tannhauser" nel 1984 ed era dal 1937 che un italiano non veniva chia­mato per una nuova produzio­ne a Bayreuth. Ma la Scala continuava a ignorarlo. Non si lamentò mai pubblicamente, ma agli amici non nascondeva la propria amarezza. Un giorno mi disse: <>. I

Conobbi il maestro Sinopoli nel 1984 all'Auditorium di Torino dove stava facendo le prove di un concerto. Andammo a pranzo in una trattoria. Volle farmi assaggiare del pesce dicendo che neanche a Venezia si mangiava pesce fresco come in quella trattoria. Era un compagnone affabile e gioviale. In quei giorni era uscita in Italia la sua incisione, per la Deustsche Grammophon, di Manon Lescaut di Puccini, con Placido Domingo e Mirella Freni. Una lettura anticonvenzionale e ricca di umori che ancora oggi è straordinaria. Ma c'erano state delle critiche. <>, mi disse Sinopoli. <>. Palesava, con quella frase, la sua linea di condotta, di rigoroso "servitore" della musica, e non "servo" delle mode, del successo ad ogni costo. Aveva allora 38 anni. Il suo modo di vivere, di parlare, quel suo distacco dal successo, dalla fama, quella sua riservatezza, una specie di umiltà francescana, palese anche nel vestire, suscitavano curiosità. Era inevitabile cercare di sapere di più di lui, del suo mondo interiore. Ma sviava sempre e abilmente il discorso. Solo una volta, con me, si lasciò andare alle confidenze. Fu nel 1988, a casa sua, a Roma. Aveva concluso una tournée in Italia con la New Philharmonia Orchestra di Londra, di cui era allora direttore principale e direttore musicale, e si era preso alcuni giorni di riposo. Mi diede appuntamento nella sua bella casa, ai Parioli. Raramente riceveva giornalisti in casa. Per lui, la casa era un sacrario, dove vivere l'intimità della famiglia. Mi disse che, dovendo viaggiare molto, per lavoro, si sentiva a disagio negli alberghi. Per questo aveva una casa a Roma, una a Vienna, una a Londra e una nella campa­gna austriaca, sul confine ungherese. Quel giorno, in casa sua, con la presenza calorosa dei figli piccoli che si sentivano giocare in una stanza vicina, fu lui a cominciare a parlarmi della sua vita privata. <>. Dal salotto, dove parlavamo, mi accompagnò lungo un corridoio alla parte opposta della casa. Aprì la porta di una stanza e, in un mare di giocattoli, sparsi alla rinfusa sulla moquette, due stupendi bambini giocavano tranquilli. Erano paciocconi come il padre. Sinopoli, di fronte a loro, si scioglieva. Si sedette per terra e accarezzava dolcemente i figli. <>, mi disse. Il più piccolo afferrò i capelli ispidi del padre, vi si aggrappò letteralmente e, facendo forza sulle braccia, si issò sulla schiena del maestro che gongolava felice. <>, disse Sinopoli <>. Sulla porta si affacciò una ragazza bionda, molto bella, che vestiva in maniera sportiva. Sembrava una liceale. <>, disse Sinopoli presentandomela e svelando così un altro segreto della sua vita privata. Solo gli amici intimi allora sapevano che il maestro era sposato e aveva due figli. Sua moglie, Silvia Cappellini, che, allora, aveva solo 26 anni, era un'ottima pianista, che teneva concerti in giro per il mondo. <>, disse il maestro. <>. Sinopoli mi accompagnò nel suo studio. Era particolarmente felice. Lo si vedeva dallo sguardo. Riflettendo sul fatto che, questa volta, era stato lui, di sua iniziativa, a cominciare a parlare di se stesso, della sua famiglia, ne approfittai. Gli feci altre domande personali e voglio qui riportare fedelmente le sue risposte, il suo racconto. Lo ritengo illuminante per capire e amare ancora di più questo eccezionale artista e il mondo culturale e spirituale in cui è vissuto e che il Festival di Taormina a lui dedicato si propone di far conoscere. Lo studio, in cui, quel giorno, il maestro Sinopoli mi raccontò della sua vita, era costituito da una grande stanza, con due scrivanie e le pareti erano tappezzate di libri. Quasi tutti volumi vecchi del Sei-Settecento. <>, disse il maestro. <>. <>, chiesi. <>, rispose Sinopoli <>. <>. <> <>. <>, chiesi.. <>, rispose. <Renzo Allegri

articolo pubblicato il: 14/10/2009

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