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religione
i sacerdoti e la cultura
di Guillermo Juan Morado

Forse poche realta’ umane sono cosi’ difficili da definire come la cultura. Nel suo senso classico, la cultura equivale alla coltivazione dei doni naturali. Nella sua accezione moderna, la cultura e’ considerata come l’unione dei modi di vivere, dei costumi e delle modalita’ di un’epoca o di un gruppo sociale. Tutti siamo artefici e soggetti della cultura e, a volte, la cultura e’ cio’ che ci permette di divenire pienamente esseri umani.

L’interesse della Chiesa per la cultura e’ coestensivo con la sua storia millenaria. Dall’inizio, il cristianesimo e’ stato creatore di cultura. Concretamente, la cultura europea ed occidentale non si spiega senza l’influsso vivificatore del Vangelo. Nonostante il naufragio dei valori, che ci converte in una generazione di orfani e di sopravvissuti, ancora, se cerchiamo tra i relitti della nave, troveremo opere che si incastrano in un disegno cristiano o, al massimo, forse postcristiano, ma difficilmente precristiano o acristiano.

L’insuccesso dei diversi umanesimi atei, ed il conseguente rinchiudersi postmoderno negli orticelli della comodita’ egoista, ha posto in luce con maggior chiarezza, se necessario, che uno dei principali apporti del cristianesimo alla cultura occidentale e’ stato – e continua ad esserlo – quello della difesa del valore e della dignita’ della persona umana. Di fronte al futuro, sempre piu’ minacciato dalla frammentazione e dal nichilismo, la scommessa incondizionata a favore della dignita’ di ogni uomo costituisce una continua sfida di fronte alla quale la Chiesa, presenza viva di un Dio umano, non puo’ capitolare.

Da dove viene la responsabilita’ dei sacerdoti nel campo della cultura? Sgorga, ne’ piu’ ne’ meno, dalla loro stessa identita’ e missione: essere ministri di Cristo, testa della Chiesa, affinche’ gli uomini ricevano e manifestino nella loro esistenza il dono della vita divina.

La preoccupazione per la cultura non e’, di conseguenza, un impegno opzionale per un sacerdote; non e’ un passatempo per riempire spazi di ozio – sempre piu’ ridotti, a causa di agende sovraccariche-; e nemmeno un’aristocratica tecnica di “coltivazione di se’”. Si tratta, al contrario, di un obbligo indifferibile a contribuire, per la parte che gli compete, a che la Chiesa compia la propria missione di annunciare il Vangelo a tutte le genti (cfr. MT 28, 19); vale a dire, a tutti gli ambiti dell’umanita’ per “trasformare da dentro” e “rimuovere l’umanita’ stessa” attraverso l’influsso della Buona Novella.

Il mandato missionario dato dal Signore non puo’ essere compiuto – insegnava Paolo VI – senza portare avanti un’evangelizzazione della cultura e delle culture della nostra epoca. Per questo, seguendo la logica dell’Incarnazione e della Redenzione, sara’ importante inserire il Vangelo nelle diverse culture in modo che queste siano introdotte nella vita della Chiesa e, in tal modo, la fede stessa si faccia cultura, creando comunita’ che riflettano e si impegnino ad incarnare modelli di fede, validi per oggigiorno.

Il sacerdote, pastore della comunita’ cristiana, si vede spinto, sempre di piu’, a cercare di portare avanti una sintesi personale tra fede e cultura, con creativita’, audacia e spirito di discernimento. Un continuo e serio impegno di formazione permanente sara’ il canale che gli permetta di contribuire efficacemente a che la necessaria pastorale della cultura dia frutti in un rinnovato annuncio del Vangelo negli areopaghi del nostro tempo, affinche’ la Parola di Salvezza crei, con il suo potere trasformatore, un nuovo umanesimo in grado di illuminare “culture trasformate dalla prodigiosa novita’ di Cristo”. Culture che permettano agli uomini di oggi – come scrive Giovanni Paolo II in Fede e ragione – di “scoprire la loro capacita’ di conoscere la verita’ ed il loro anelito ad un sentimento ultimo e definitivo dell’esistenza”.

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