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cultura
religione e milizia
di Piero Pastoretto

"... e dico a uno: Va', ed egli va; e ad un altro: Vieni, ed egli viene ..." (MT, 8, 9)

Partito di là, Gesù vide un uomo chiamato Matteo, seduto al banco della dogana, e gli disse "Seguimi". Ed egli, alzatosi, lo seguì. (MT, 9, 9)

"Costui era davvero il Figlio di Dio!" (MT, 27, 54)

Questo articolo è l'estratto di un lavoro più ampio scritto per la rivista della Società di Cultura e Storia Militare.

In un clima ancor oggi molto diffuso di antimilitarismo e pacifismo vi sono parecchi cristiani, cattolici e non, che ritengono incompatibile con il messaggio del Vangelo e la dottrina della Chiesa la professione delle armi. Queste infatti sono l'universale simbolo di morte, ferocia e guerra, mentre il verbo di Gesu' promette amore, pace e vita. Eppure, la rilettura di tre passi di Matteo induce a meditare almeno su quegli elementi che caratterizzano l'atipicità tutta peculiare della vita di chi serve la patria in uniforme e di chi serve Dio seguendo il Cristo. Nei primi due passi appaiono immediatamente chiare tanto la straordinaria sintesi dell'essenza della vita militare - che rimane pur sempre l'obbedire - quanto l'affinità di questa con la vocazione di S. Matteo, che si risolve in un esplicito comando del Cristo senza alcuna motivazione che l'obbligo. Esercizio della fede ed esercizio delle armi sono dunque così distanti, oppure sono caratterizzati da alcune scelte personali che impegnano per la vita in quanto consacrate da un giuramento (e per la Chiesa da un sacramento), e che prendono il nome di disciplina, obbedienza (una delle tre regole monastiche), servizio e sacrificio? Un'ovvia obiezione potrebbe ricordare che il cristiano fa una scelta di carità e rifiuta a priori la violenza, mentre il militare è colui che implicitamente, indossando un'uniforme, si dichiara disposto ad uccidere. Tuttavia, come ricordavamo nel precedente articolo, egli è anche pronto, in qualsiasi momento a farsi uccidere per il proprio paese. E questa disponibilità - la quale invero richiede un senso dell'onore che non è contemplato tra le virtù cristiane in quanto è sostituito dalla carità - è la testimonianza di fedeltà assoluta ad un giuramento; testimonianza che per altro nella terminologia della Chiesa e con un sostantivo derivato dal greco, viene detta martirio e venerata come virtù eroica di alcuni santi.

Inoltre, la vita in armi, chiusa da un lato fra l'alternativa di dare o ricevere un giorno la morte, e votata ad un duro e misconosciuto servizio dall'altro, senza la fede e la speranza in un Dio misericordioso si ridurrebbe a disperazione e violenza. Da qui deriva, in linea di massima l'affinità, che è l'esatto contrario dell'incompatibilità, tra fede e milizia.

Invito adesso il lettore a consultare l'intero passo di Matteo da 8, 5 a 8, 13. Gesu' non mostra alcuna prevenzione morale nei riguardi del centurione: potrà dunque condannare la guerra nelle profezie apocalittiche degli ultimi tempi, quando i regni si solleveranno contro i regni, ma non ha condannato i soldati che le combatteranno. Al tempo stesso il centurione - probabilmente un italico, e quindi pagano o al massimo un indifferente se dotato di una certa cultura - non soltanto intuisce per una speciale grazia la divinità del Cristo, ma dimostra nei suoi riguardi un rispetto ed un'umiltà straordinari, che sono proprio il contrario dell'atteggiamento altezzoso e superbo di un militare che si rivolge ad un provinciale appartenente ad un popolo sottomesso. Come è possibile che la rivelazione tocchi i cuori dei duri soldati prima che quelli dei miti "civili", come riconosce il Salvatore stesso dicendo che in nessuno ha trovato in Israele con una fede così grande? Certo, il Cristo destava scandalo proprio perché non allontanava da sé i peccatori come le prostitute ed i pubblicani, e forse anche i soldati e gli stranieri rientravano in questa categoria che era così bisognosa della sua parola. È pur vero che furono i legionari della coorte di stanza a Gerusalemme a schernirlo, fustigarlo e crocifiggerlo; ma è anche vero che furono un centurione ed i soldati di guardia al corpo ormai esanime di Gesu'- forse i medesimi che avevano tratto a sorte le sue vesti - ad esclamare "Veramente costui era Figlio di Dio!" Si noti:"Figlio di Dio" e non un profeta o un santo; e furono gli unici spettatori di quell'evento a ricevere il privilegio di una tale rivelazione, che non fu concessa né agli ebrei né alle guardie del Tempio, i quali pure assistettero ai prodigi che seguirono alla sua morte. La conclusione pertanto mi pare che sia la seguente: mentre la religione cattolica condanna le guerre (ma non tutte ed in assoluto, come fanno i pacifisti), instaura invece con chi le combatte, le vive, le soffre, o si prepara ad esse, un rapporto di particolare ed amorevole sollecitudine, di conciliazione e di confronto, mostrando così una sapienza assai superiore ai superficiali e drastici giudizi dei cosiddetti uomini di cultura.

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