"Io penso che un vero scultore, come qualunque altro artista, sia gia' tale quando si affaccia alla vita lavorativa; per un certo verso egli ha gia' pronto un bagaglio delle cose da dire. Il tempo, lo studio, la riflessione, gli consentiranno di organizzare meglio la propria vita artistica, ma non di nascere come vero scultore, se non lo e' gia'. Si potra' semmai discutere del suo valore in assoluto, ma non del suo diritto all'uso dello scalpello". Sono parole di Umberto Peschi (Macerata 1912 - 1992), tra i maggiori scultori nel panorama artistico italiano del Novecento a cui, a dodici anni dalla morte, viene dedicata fino al 12 ottobre una grande mostra nella Chiesa di San Paolo (Piazza della Libertà) a Macerata, promossa dall'Assessorato alla Cultura del Comune di Macerata, Pinacoteca e Musei, in collaborazione con l' Associazione Alberto e Umberto Peschi, la Fondazione Cassa di Risparmio della Provincia di Macerata e con il patrocinio della Provincia di Macerata e della Regione Marche.
La mostra ("Umberto Peschi. Opere 1930 - 1992", Catalogo Silvana Editoriale), a cura di Paola Ballesi e Nino Ricci, intende contribuire a divulgare ed approfondire l'opera dell'artista maceratese, geniale interprete, dapprima, del secondo futurismo, poi tenace ricercatore della prima ora del linguaggio dell'astrazione, e infine, nella stagione piu' matura, come significativo esponente della neoavanguardia che compone la sintassi astratta secondo la intrigante poetica del tarlo, calibrata tra sottili varianti luministiche e articolazioni di moduli corrosi, tra esprit de géometrie e immaginazione.
In circa cento opere, la maggior parte in legno, il suo materiale d'elezione, piu' un cospicuo numero di disegni e un corposo corredo fotografico e documentario, la retrospettiva ricostruisce il percorso della vicenda umana e artistica di Peschi, lo straordinario "intagliatore dello spazio", come lo ebbe a definire Depero.
Nel 1930, conseguito il diploma della Regia Scuola di Tirocinio, dimostra da subito talento nella disciplina dell'intaglio del legno frequentando sia gli opifici dei mobilieri locali, dove perfeziona la sua abilita' tecnica che successivamente gli tornera' estremamente utile come veicolo espressivo, sia gli studi di artisti, in particolare quello di Giuseppe De Angelis, dando vita alle sue prime produzioni.
Dopo la campagna di Etiopia, tornato nelle Marche, entra a far parte del Gruppo futurista maceratese, denominato Gruppo Boccioni, delle cui molteplici iniziative sarà attivo interprete insieme al fratello Alberto.
Trasferitosi a Roma, nel 1937, si unisce a Sante Monachesi e Bruno Tano, con i quali vive un medesimo impegno culturale e un condiviso progetto esistenziale e di militanza artistica nello studio di via delle Colonnette. L'esordio a Roma presso la casa d'Arte Bragaglia lo fa entrare in contatto con i vari gruppi futuristi della capitale diventando amico personale di Prampolini, Balla, Depero. Dal 1939 al 1959 e' presente a tutte le Quadriennali romane; nel 1940 partecipa inoltre alla XXII edizione della Biennale di Venezia, dove espone il notissimo Aeroritratto d'aviatore, un legno a tutto tondo, che lo scenografo Dante Ferretti poi inseri' per la sua grande forza simbolica nella scenografia del film "Salò o le centoventi giornate di Sodoma" (1975) di Pier Paolo Pasolini. Quale interprete dell'aeroscultura partecipa nel 1942 alla Biennale veneziana, con due bassorilievi in legno, Paracadutista e Oasi, che evidenziano la sua eccezionale maestria tecnica coniugata ad una altrettanto potente immaginazione poetica.
Nell'immediato dopoguerra, con l'impulsivo rigetto del linguaggio futurista ha inizio una breve ma intensa stagione, protrattasi fino al '47- '48, contrassegnata dal recupero del reale secondo stilemi arcaizzanti e martiniani, estremamente congeniali alle sua manualita'. Stimolato dai fermenti che scuotono la compagine artistica internazionale, a partire dagli ultimi anni Quaranta, si inoltra con una ricerca, tanto eclettica quanto mirata, verso il linguaggio visivo dell'astrazione, che articola coniugando le esperienze più varie ma sentite vicine alla sua indole, da Arcipenko, a Pannaggi, da Gargallo a Moore.
In realta' la vicenda astratta di Umberto Peschi, la cui iniziazione avviene ad opera di Prampolini e che si riconnette alla matrice di natura istintiva dei suoi esordi futuristi, prende decisamente l'avvio con la partecipazione, nel 1952, alla 6° Mostra annuale dell'Art Club, presso la galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, che lo inserisce in un contesto internazionale attento ai problemi dell'arte astratta, determinando in lui la necessità di un confronto diretto con la realtà estremamente cangiante delle ricerche europee. La volontà di apertura verso nuove esperienze lo porta a stringere un lungo sodalizio con Fiamma Vigo, con la quale collabora per oltre un decennio alle iniziative espositive ed editoriali della Galleria Numero, in cui rafforza le motivazioni della sua scelta, trovando una originalissima espressione, a partire dalla seconda metà degli anni Cinquanta, nella poetica del tarlo, declinato nelle infinite varianti dei pieni e dei voti e delle articolazioni modulari, che predispongono la materia ad accogliere la luce.