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opinioni e commenti
antropologia dei taboo
di Paolo Lulli

Caratteristica piuttosto comune a molti uomini è la reticenza.

Troppe parole servono spesso a mascherare piuttosto che a chiarire il senso del discorso. La stessa retorica rappresenta un modo tristemente conveniente per nascondere le verità più scomode.

Ma questo genere di considerazioni appartiene piuttosto alle meditazioni solitarie che non alla comune corrispondenza di ciascuno. ``Scripta manent'' e queste cose si comprendono, magari si raccontano persino al bar con gli amici, ma non ci si arrischia a scriverle, mai; nella letteratura che conta, tutto ciò che si è scritto è solo un paravento per quel che non si voleva fosse naturale pensare.

Insomma, è questo il genere di riflessioni indotte da un'estate calda, di riposo dalle occupazioni consuete.

Il più delle volte si ha in aggiunta il torto di voler estendere, generalizzare queste fuggitive sensazioni, fino al punto di crearsi un'opinione propria sul mondo.

E' un difetto piuttosto comune, diffidare di chi mostri di non soffrirne; è pericoloso non presentarne i segni evidenti, vuol dire che si pensa davvero, che ci si sta impegnando coscientemente a costruire una interpretazione propria; e non può essere rivelata fin tanto che non rappresenti un sistema di pensiero coerente, inattaccabile.

E' importante la coerenza, senza di questa le opinioni si dimostrano per quello che sono, e per questo fa spavento l'eterogeneità; sappiamo poco, in realtà, ma tutti hanno bisogno di pensare.

Tuttavia non ci sogneremmo di andare in giro per strada completamente svestiti, per strana che possa essere la motivazione che ci figuriamo per questa curiosa coincidenza di abitudini che accomuna le civiltà più evolute. E' un dato di fatto.

E giacchè correntemente l'attività di scrivere è di per sè tesa a prospettare la verosimiglianza delle proprie opinioni, non mi sottrarrò dal proporre la mia in proposito.

Non andiamo in giro svestiti perchè tentiamo in tutti i modi di nascondere la nostra natura mortale. Usiamo nascondere i genitali esattamente come siamo soliti seppellire i defunti, occultarne i corpi, dimenticarne l'esistenza; tutto ciò che ci ricorda l'inizio e la fine della vita, è terreno fertile per la nascita di taboo. Dimenticare che la vita ha termine sembra essere una delle attività più impegnative che l'essere umano si sia posto come scopo.

Il presente sembra essere il nostro fine e la nostra ossessione; tutto ciò che lo travalica è taboo. Il sesso è taboo, la morte è taboo.

La necessità di eternare il nostro essere ci domina a tal punto che ci disturba pensare che non saremo per sempre; tutto quello che possiamo fare per distogliere la mente da tale verità è degno dell'attenzione di tutti. E così nasce la cultura.

Intera, la cultura di ogni civiltà si contraddistingue per il proprio modo di relazionarsi con l'oltremondano e con la non-esistenza. La meontologia di Parmenide ed i dubbi degli scolastici sul vuoto, la storia del pensiero si dimena tra l'impossibilità (o presunta tale) di concepire la transizione tra l'esistere ed il nulla; le categorie più astratte hanno afflitto gli autori medievali, ma son cadute in disuso con l'attuale avidità di presente. Muta la semantica nelle argomentazioni, come fosse una moda, ma le questioni di fondo che si pongono sono le medesime, insolute.

Ma la meta-letteratura disturba, Pirandello è seccante, chiediamo ad un autore di illuderci, di intrattenerci, e lui ci scomoda per pensare: ``che cosa intendeva, che cosa devo dedurne''?

Umberto Eco riempie di dettagli storici i suoi romanzi, come a fingere di non aver nulla di suo da dire; eppure il messaggio è sempre fuori dalla storia, oltre di essa. Molti personaggi hanno vissuto nell'intento di tramandarne qualcuno ai posteri, e talvolta ci son riusciti; l'aspetto più paradossale è che noi non sopravvivremo al nostro messaggio, e per colmo dell'ironia non se ne parla, giacchè sarebbe davvero eccessivo prendere poi troppo sul serio le nostre curiose esistenze.

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