Caratteristica piuttosto comune a molti uomini è la reticenza.
Troppe parole servono spesso a mascherare piuttosto che a
chiarire il senso del discorso. La stessa retorica rappresenta
un modo tristemente conveniente per nascondere le verità più scomode.
Ma questo genere di considerazioni appartiene piuttosto alle
meditazioni solitarie che non alla comune corrispondenza
di ciascuno. ``Scripta manent'' e queste cose
si comprendono, magari si raccontano persino al bar con gli
amici, ma non ci si arrischia a scriverle, mai; nella letteratura
che conta, tutto ciò che si è scritto è solo un paravento
per quel che non si voleva fosse naturale pensare.
Insomma, è questo il genere di riflessioni indotte da un'estate calda,
di riposo dalle occupazioni consuete.
Il più delle volte si ha in
aggiunta il torto di voler estendere, generalizzare queste fuggitive
sensazioni, fino al punto di crearsi un'opinione propria sul mondo.
E' un difetto piuttosto comune, diffidare di chi mostri di
non soffrirne; è pericoloso non presentarne i segni evidenti,
vuol dire che si pensa davvero, che ci si sta impegnando
coscientemente a costruire una interpretazione propria;
e non può essere rivelata fin tanto che non rappresenti
un sistema di pensiero coerente, inattaccabile.
E' importante la coerenza, senza di questa le opinioni si
dimostrano per quello che sono, e per questo fa spavento
l'eterogeneità; sappiamo poco, in realtà, ma tutti hanno bisogno di
pensare.
Tuttavia non ci sogneremmo di andare in giro per strada
completamente svestiti, per strana che possa essere la
motivazione che ci figuriamo per questa curiosa coincidenza di
abitudini che accomuna le civiltà più evolute. E' un dato di fatto.
E giacchè correntemente l'attività di scrivere è di per
sè tesa a prospettare la verosimiglianza delle proprie opinioni,
non mi sottrarrò dal proporre la mia in proposito.
Non andiamo in giro svestiti perchè tentiamo in tutti i modi
di nascondere la nostra natura mortale. Usiamo nascondere i
genitali esattamente come siamo soliti seppellire i defunti,
occultarne i corpi, dimenticarne l'esistenza; tutto ciò che ci
ricorda l'inizio e la fine della vita, è terreno fertile per la nascita
di taboo. Dimenticare che la vita ha termine sembra essere una
delle attività più impegnative che l'essere umano si sia posto come scopo.
Il presente sembra essere il nostro fine e la nostra ossessione;
tutto ciò che lo travalica è taboo. Il sesso è taboo, la morte è taboo.
La necessità di eternare il nostro essere ci domina a tal punto che
ci disturba pensare che non saremo per sempre; tutto quello che
possiamo fare per distogliere la mente da tale verità è degno
dell'attenzione di tutti. E così nasce la cultura.
Intera, la cultura di ogni civiltà si
contraddistingue per il proprio modo di relazionarsi con l'oltremondano
e con la non-esistenza. La meontologia di Parmenide ed i dubbi degli
scolastici sul vuoto, la storia del pensiero si dimena tra l'impossibilità
(o presunta tale) di concepire la transizione tra l'esistere ed il nulla;
le categorie più astratte hanno afflitto gli autori medievali, ma son
cadute in disuso con l'attuale avidità di presente. Muta la semantica
nelle argomentazioni, come fosse una moda, ma le questioni di fondo che si
pongono sono le medesime, insolute.
Ma la meta-letteratura disturba, Pirandello è seccante, chiediamo
ad un autore di illuderci, di intrattenerci, e lui ci scomoda per pensare:
``che cosa intendeva, che cosa devo dedurne''?
Umberto Eco riempie di dettagli storici i suoi romanzi, come a fingere
di non aver nulla di suo da dire; eppure il messaggio è sempre fuori
dalla storia, oltre di essa. Molti personaggi hanno vissuto nell'intento
di tramandarne qualcuno ai posteri, e talvolta ci son riusciti; l'aspetto
più paradossale è che noi non sopravvivremo al nostro messaggio, e per
colmo dell'ironia non se ne parla, giacchè sarebbe davvero eccessivo
prendere poi troppo sul serio le nostre curiose esistenze.