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la gestione dell'informazione dopo gli attentati di Londra
di Giovanni Tridente

Il terrorismo continua caparbiamente a colpire, e mentre ancora si attendono le conferme sulle generalità dei promotori dell'odio a danno dell'inerme popolazione civile dei paesi democratici, un nuovo dibattito si apre intorno alla professionalità dei mezzi di comunicazione e la loro implicazione sul piano etico.

Non è sfuggito neppure ai telespettatori meno attenti ed interessati che la gestione dell'informazione relativa agli attentati di Londra abbia intrapreso una nuova strategia: più responsabilità e meno spettacolarizzazione. Due termini che nel piccolo dizionario della comunicazione approntato dal compianto Giovanni Fallani - uno che era convinto che "non si può parlare di uomini come se fossero numeri o cose" – fanno il paio con il dovere di "umanizzazione del mondo", di "scrivere nulla sull'umanità dell'uomo senza un briciolo di pietà, di tenerezza".

"Chi grida "al fuoco" in un cinema affollato, provoca lo stesso disastro di un incendio e dunque significa appiccare un incendio", affermava G. E. Rusconi, citato da Fallani come per dire che nel maneggiare le parole il giornalista fa i conti con la propria responsabilità (ed espone gli altri a diverse conseguenze). Nel caso della spettacolarizzazione, l'informazione piegata alle regole di quest'ultima ne esce deformata dalle sue stesse modalità: "ne nascono plagi ed emulazioni che rompono equilibri psicologici e morali di fon­damentale importanza" (S. Zavoli).

Appena una decina di giorni prima dell'ennesimo colpo di testa dei terroristi, il 24 giugno, la Bbc aveva approvato le nuove linee editoriali, una sorta di codice di condotta etica che prevede anche la possibilità di ritardare - o di escludere del tutto - la trasmissione delle immagini più crude. La strage di Londra si è rivelata un campo di prova per la principale emittente della City che si è guardata bene di trasmettere filmati choccanti e foto da raccapriccio.

La Televisione è indubbiamente un importante mezzo di comunicazione di massa con potenzialità enormi, soprattutto per ciò che concerne l'informazione. Tuttavia, come spesso accade, queste potenzialità possono nascondere grandi rischi se dello strumento se ne fa un cattivo utilizzo. "La possibilità della TV di attivare tutte le nostre capacità sensoriali attraverso i suoni e le immagini che richiamano il ricordo di attivazioni sensoriali tattili, gustative, visive ed olfattive, conferisce al piccolo schermo il potere di saturare tutte le vie percettive, anche in un unico momento" - scrive la psicologa Monica Monaco -, pertanto c'è il rischio di generare una "sindrome della catastrofe imminente" e, "un po' per le scarse conoscenze di psicologia dell'emergenza da parte di chi fornisce l'informazione, un po' per un errato atteggiamento nel consumo televisivo, un'emergenza sociale può trasformarsi, come spesso accade, in una vera e propria "emergenza psicologica"". Quando un operatore è veramente responsabile risulta evidente che tiene conto anche dell'atteggiamento che assumono coloro che usufruiscono del mezzo.

Ritornando alla strategia adottata da tutto il comparto mass-mediatico del Regno Unito, possiamo dire di aver assistito al tentativo di mantenere bassa l'attenzione sul disastro compiuto dagli stragisti. A soffrire di questo limite è stata in particolare la Tv e le agenzie fotografiche; entrambi i settori hanno dovuto accontentarsi di foto alquanto generiche, scattate da lontano e focalizzate in particolare sull'allestimento dei soccorsi piuttosto che sui danni a cose e a persone. Ci si è limitati – o dovuti limitare per diretta conseguenza delle direttive ricevute di volta in volta dall'equipe governativa che ha affrontato l'emergenza – a mostrare qualche ambulanza, l'attività dei vigili del fuoco, un po' di rottami e persone con limitati danni superficiali. Poco sangue e niente morti. Tant'è che a chi nel giorno dell'attentato ha avuto modo di sintonizzarsi sulla Bbc sembrava che l'entità degli attacchi fosse irrisoria e il tanto vociare di responsabili politici, esperti di politica internazionale e studiosi del fenomeno terroristico appariva evidentemente fuori luogo.

Gli esperti del settore mediatico hanno faticato poco a capire che sotto a quelle immagini non trasmesse e a quella comunicazione centellinata del numero dei morti, rilasciata con il contagocce, c'era una chiara strategia rivolta alla compostezza. Menomale che gli organi preposti invece alla gestione della cosa pubblica hanno ripreso a parlare di terrorismo e a studiare con maggiore enfasi i piani per mettere al sicuro le popolazioni innocenti e preservarle dagli attacchi omicidi imprevisti.

C'è chi ha visto dietro alla pacatezza adottata dai network inglesi una diretta conseguenza delle misure imposte dalle locali istituzioni. Ipotesi più che plausibile se si guarda al fatto che, a differenza di Tv e agenzie fotografiche, i giornali ed internet hanno cercato di sostituire la documentazione delle immagini gonfiando le parole, vuoi per esprimere maggiore condanna e sprezzo, vuoi per raccogliere quante più testimonianze dettagliate possibili da parte dei sopravvissuti. Diciamo che mentre da un lato la Bbc ha cercato di contenere la sovraesposizione del fenomeno terroristico – che si serve dei media per istituzionalizzare i propri atti – mediante la diffusione di immagini, giornali e blog del mondo sono esplosi "a parole".

Gli angolassoni hanno saputo, per dirla col docente universitario di comunicazione Francesco Pira, separare la cronaca dal commento, le emozioni e le suggestioni, dalle argomentazioni e dai dati reali. Dall'altro lato, i blogs, anche quelli di normalissime persone, si sono trasformati in puntuali quanto incisivi trasmettitori di informazioni, sensazioni, immagini raccontate o mostrate, in una corsa quasi folle nel fare quel che le televisioni ci hanno abituato purtroppo a vedere in tutti questi anni, sotto lo stendardo del "diritto all'informazione", e che stentavano ora a riproporre.

"L'immagine più simbolica di questo attentato sono i poliziotti di Scotland Yard che coprono tutto con enormi teli. Non volevano che si vedesse nulla. Qualcuno è stato infastidito dalla cosa non capendo che era in atto una strategia", ha affermato Aldo Grasso, critico televisivo del Corriere della Sera e docente alla Cattolica, adducendo ad una scelta consapevole delle istituzioni londinesi.

"Composti, gli inglesi, anche in mezzo alla tempesta. Ma quando il panico non c'è si può sempre immaginare. Qualche conduttore televisivo nostrano non ha saputo resistere, mettendo in scena lo stereotipo del cronista d'assalto: tono un ottava più alto del necessario, voce concitata e rotta dall'emozione. Faccia di circostanza. Ai telespettatori più attenti non sarà sfuggita la discrepanza, in certi tiggì, tra le immagini sullo schermo e la loro descrizione: la comprensibile agitazione spacciata per panico, l'efficiente lavoro delle forze dell'ordine descritto come una guerra di trincea", ha scritto invece Nicoletta Martinelli in un servizio pubblicato il 9 luglio sul quotidiano "Avvenire", per mettere in evidenza che la Bbc ha forse compreso qual è il modo di procedere di fronte ai terroristi: "non indugiare sull'orrore, non dare soddisfazione al nemico". Cosa che invece gli italiani hanno ancora una volta stentato a capire. Per Ugo Volli, semiologo, docente di Filosofia del linguaggio all'Università di Bologna, "ostentare un comportamento distaccato ma fermo, come gli inglesi, è un segno di forza. Nel momento del panico e del terrore la persona civile si riconosce non perché strilla ma perché abbassa i toni".

GIOVANNI TRIDENTE,
ventidue anni, giornalista pubblicista, studente di Comunicazione Sociale Istituzionale presso la Pontificia Università della Santa Croce di Roma.
Sta preparando una Tesi su "Terrorismo mediatico e comunicazione etica"

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