periodico di politica e cultura 27 luglio 2024   |   anno XXIV
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arte e mostre: alla Casa Museo Sartori di Castel d’Ario

In punta di filo, l’arte del ricamo

di Michele De Luca

La Casa Museo Sartori di Castel d’Ario (MN), in via XX Settembre 11/13/15, presenta una mostra davvero originale e, per questo, eccezionale, curata da Maria Gabriella Savoia “In Punta di Filo. Ricami dipinti, Quadri a Fils Collés, Paperoles, Diorama, Collages e altro dal XVIII al XX secolo”. Non parliamo di arazzi e nemmeno di pizzi e merletti che non sono assolutamente i soggetti della mostra. Questa è un’occasione rara e straordinaria di vedere riuniti tanti lavori di epoche lontane eseguiti con motivazioni e scopi differenti ed in contesti culturali diversi. Inevitabile il collegamento dei quadri ricamati alla tematica della tessitura, ma per quanto ci riguarda parliamo di tessuti utilizzati quasi esclusivamente come supporti per i soggetti dei ricami, e prevalentemente di seta che per le caratteristiche della stessa fibra finissima, permetteva una accurata esecuzione di punti molto ravvicinati. La collezione nasce alla fine degli anni Settanta, con l’acquisizione di “Carlo I d’Inghilterra a caccia” tratto dal magnifico quadro di Anton Van Dyck, eseguito per il Casino di caccia dell’Imperatrice Giuseppina Bonaparte per la Malmaison di Parigi. Eseguito seta su seta, tra la fine del 700 e i primi anni dell’800, a punti lanciati su una bassa gamma di toni, è corredato da un sigillo in cera lacca coevo che ne certifica l’autenticità.

I quadri ricamati più antichi esposti sono tre, orientali, probabilmente del 17° secolo, che raffigurano ciascuno una “pernice”, un “airone” e un “fagiano”, con occhi in vetro diversi per ognuno, eseguiti con lanci di fili in filigrana d’argento, sopra le imbottiture delle singole figure fissate su seta, fissati con piccolissimi punti tutto sopra. Gli altri, legati alla produzione occidentale, sono ricami dipinti, spesso lavori monastici … Mi piace ricordare che nel caso di Mantova, già al tempo dei Gonzaga, esistevano solo in città, più di una decina di monasteri che accoglievano, crescevano, educavano tutte le bambine, orfane o abbandonate, che in essi apprendevano un lavoro, potevano rientrare nelle famiglie o potevano anche prendere i voti e diventare novizie. Quindi potremmo affermare che, prima della società del consumo, ai conventi e soprattutto alle suore era affidata completamente l’educazione di queste giovani donne che, come le ricamatrici, erano le perfette esecutrici degli abbigliamenti sacerdotali, cardinalizi e papali, delle principesche doti per famiglie nobili ed anche per le ragazze di famiglie borghesi che nei monasteri e successivamente nei collegi gestiti dalle religiose, si istruivano. Era un mondo, quello, apparentemente chiuso, ma socialmente indispensabile fatto di tanta preghiera, tanto lavoro, e di rari momenti di solitudine. Nacquero così le cosiddette arti monastiche. La manovalanza dei conventi come si diceva, era numerosa, composta da bambine che lì vivevano, si mantenevano lavorando e imparando anche l’arte del cucito e del ricamo, mentre in altri casi le novizie, che all’atto di giuramento di fedeltà al Cristo, avendo rinunciato alla bellezza dei propri capelli, conservavano gelosamente la treccia dei loro capelli che sarebbe diventata la matassina di “fili” assolutamente privata con i quali avrebbero poi eseguito piccolissimi ricami da regalare ai parenti per non essere dimenticate.

Sono esposti alcuni ricami riconoscibili per essere eseguiti con il solo colore nero, raffiguranti paesaggi “Venezia, Piazza S. Marco”, “Roma, Piazza Colonna”, o ritratti di monache e una “Santa Caterina da Siena”, firmati e datati, sono davvero emozionanti perché intimi, ricamati nel silenzio della propria celletta, con quel vezzo di femminilità che rappresentavano i capelli a cui avevano rinunciato, offrivano la possibilità di mantenere un legame non spezzato il ricongiungimento alla famiglia.

Le antiche tecniche di ricamo, tramandate, sono testimonianza di un patrimonio culturale e artistico di valore. I dettagli intricati delle tessiture a fili d’oro e d’argento, ogni punto, ogni disegno racchiude un significato profondo e rappresenta il lavoro paziente e minuzioso di sapienti ricamatrici che trascorrevano ore e ore alla luce della finestra o magari a lume di candela, a creare opere d’arte uniche e senza tempo.

E per i tanti benefattori che di fatto mantenevano i conventi, le suore e le ragazze preparavano quadretti di fattura e preziosità diverse, vedi il seicentesco “Quens exemplum Christus” dedicati anche ai numerosi santi più o meno conosciuti, oppure a episodi del vecchio testamento “David Suona l’arpa a Re Saul” e del nuovo testamento dalle realizzazioni più diverse, eseguiti secondo la pratica del ricamo tradizionale che copre tutta la superficie, oppure con inserimenti di frammenti di seta dipinti in miniatura per i visi e le mani e arricchiti di fili d’argento, nel caso di “San Carlo fa la prima comunione a San Luigi”, l’Agnus Dei tridimensionale è ricamato in fili d’argento.

Al ricamo si aggiungono la pittura, gli strumenti decorativi, “Gesù nel bosco degli ulivi” eseguito con intagli di giunco ad arricchire una incisione settecentesca, le Sante Reliquie, e vetrini colorati, perline, i Fils Collés, i diorama, i collage, i Paperoles.

Nasce in Spagna ed anche in Puglia già alla fine del 1600, forse ad opera di giovani novizie, la pratica dei fils collés, nel gioco del voler riusare fili di scarto del monastero, per l’esecuzione relativamente veloce di piccoli non-ricami con soggetti di monaci da poco santificati, che con il tempo erano diventati famosi e ricercati per la loro bellezza dalle migliori corti europee. Il nostro “Sant’Ignazio di Loyola” secondo la prassi era stato realizzato utilizzando come base un cartoncino precedentemente disegnato sul quale veniva steso uno strato di cera fusa e, sopra, con precisione certosina, venivano fissati fili di seta fino al riempimento dei vari settori per comporre l’intera opera. Quindi la scoperta dei ricami antichi ci permette di immergerci in un mondo di raffinata bellezza e attraverso la loro valorizzazione possiamo preservare e tramandare l’incanto di fili e colori che ancora oggi ci tolgono il fiato, appassionano collezionisti in tutto il mondo e ci permettono di conoscere il vissuto dei singoli esecutori.

articolo pubblicato il: 22/04/2024

La Folla del XXI Secolo - periodico di politica e cultura
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