L’abitudine al consumo è anche l’elemento che determina la “tipicità” di un piatto, che se da un lato appaga il gusto - costruito e modellato proprio sulla consuetudine - su un piano simbolico si trasforma in una sorta di marchio d’identità. Il cibo è anche un grande viaggiatore, e tutte le cucine “tradizionali” sono in realtà meticce. Ogni tradizione culinaria è multiculturale: i commerci, le scoperte, le esplorazioni hanno sempre portato cose nuove sulle tavole della gente. «Il nostro panorama alimentare dopo l’arrivo di Colombo nelle Americhe si è modificato. Alimenti come la patata, il pomodoro erano sconosciuti in Europa. Il mais non esisteva in quelle vallate alpine, dove la polenta viene oggi considerata il più autentico dei piatti, tanto da far pensare che sia sempre esistita – racconta Aime. La polenta è “tradizionale” non perché autoctona o perché storicamente legata a un territorio, lo è perché viene pensata così. La tradizione è spesso il prodotto di una proiezione del presente sul passato, piuttosto che il prodotto di una continuità storica profonda. Il cibo, in quanto risultato di una lunghissima serie di scambi, mescolamenti e rielaborazioni, è un’ottima metafora della cultura, con buona pace di chi si affanna a ricercarne i confini netti e la “purezza”».
«Con questo incontro – dice Lorenzo Zogheri, presidente della Fondazione Caript – comincia il percorso verso le giornate del festival di maggio. È un avvio dedicato agli studenti, cioè una delle platee che più siamo interessati a coinvolgere. In particolare quest’anno, perché i Dialoghi sviluppano un tema che, a esempio per le implicazioni sulla sostenibilità, è molto vicino alla sensibilità delle nuove generazioni».
Alla lezione di Aime seguirà martedì 5 marzo quella dell’antropologa Elisabetta Moro, dal titolo Mangiare come Dio comanda. Info: www.dialoghidipistoia.it Facebook: @DialoghidiPistoia | YouTube: Dialoghi di Pistoia
articolo pubblicato il: 17/01/2024